«L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono». Gli Israeliti, liberati prodigiosamente dalla schiavitù e in cammino verso la terra promessa, dinanzi alle inevitabili difficoltà del deserto insorgono contro Dio e contro Mosè: «Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero». Rimpiangono le cipolle d’Egitto e sono nauseati dalla manna! È triste constatare come i benefici di Dio siano da noi, talvolta, presi come punizione e castigo. Siamo dolorosamente incapaci di comprendere il bene che ci viene dato, fino a scambiarlo con il male, fino a stravolgere la verità, fino a rinnegare il Messia, il Figlio di Dio venuto a compiere l’opera della nostra redenzione. Ciechi ai suoi miracoli, ciechi ai suoi prodigi. Il buio dell’anima, alimentato dall’umana presunzione, non consente di “vedere” ciò che è oggetto della fede. La Verità, che punge sull’orgoglio, viene così respinta, avversata e condannata. Il rifiuto poi ardisce sentenziare perfino la morte del bene. Così avviene la condanna del divino Redentore. Gesù, con queste parole, ci convince della nostra cecità: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo». Gesù è la rivelazione del Padre, e rinnegandolo rinneghiamo Dio stesso che l’ha inviato. L’appartenenza al mondo e alle sue povertà non consente alla fede di ardere e di credere e, privi di luce e di grazia, moriremo nei nostri peccati. Gesù: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita», e ci esorta: «Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre». Mi propongo oggi di alimentare con la preghiera la luce della mia fede.
Se fai il tuo lavoro manuale nella cella e viene l'ora della preghiera, non dire: «Finirò i miei ramoscelli e il piccolo cesto e dopo mi alzerò», ma alzati subito e rendi a Dio il debito della preghiera; diversamente prenderai a poco a poco l'abitudine di trascurare la tua preghiera e il tuo Uffizio e la tua anima diventerà deserta di ogni opera spirituale e corporale. Poiché è dall'alba che si mostra la tua volontà.
I FRATELLI INFERMI La cura degli infermi è da mettere prima di tutto e al di sopra di tutto, in modo che ad essi si serva davvero come a Cristo in persona, perché egli ha detto: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36); e ancora: «Quel che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40). Gli infermi, da parte loro, devono essere consapevoli che sono serviti in onore di Dio e non affliggere con eccessive pretese i fratelli che li assistono; tuttavia essi devono essere in ogni caso sopportati con pazienza, perché attraverso di loro si acquista una maggiore ricompensa. L'abate pertanto abbia la massima premura che i malati non siano trascurati in nessun modo.