Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

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Martedì 08 aprile 2025

La Luce per “vedere” Dio.

«L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono». Gli Israeliti, liberati prodigiosamente dalla schiavitù e in cammino verso la terra promessa, dinanzi alle inevitabili difficoltà del deserto insorgono contro Dio e contro Mosè: «Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero». Rimpiangono le cipolle d’Egitto e sono nauseati dalla manna! È triste constatare come i benefici di Dio siano da noi, talvolta, presi come punizione e castigo. Siamo dolorosamente incapaci di comprendere il bene che ci viene dato, fino a scambiarlo con il male, fino a stravolgere la verità, fino a rinnegare il Messia, il Figlio di Dio venuto a compiere l’opera della nostra redenzione. Ciechi ai suoi miracoli, ciechi ai suoi prodigi. Il buio dell’anima, alimentato dall’umana presunzione, non consente di “vedere” ciò che è oggetto della fede. La Verità, che punge sull’orgoglio, viene così respinta, avversata e condannata. Il rifiuto poi ardisce sentenziare perfino la morte del bene. Così avviene la condanna del divino Redentore. Gesù, con queste parole, ci convince della nostra cecità: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo». Gesù è la rivelazione del Padre, e rinnegandolo rinneghiamo Dio stesso che l’ha inviato. L’appartenenza al mondo e alle sue povertà non consente alla fede di ardere e di credere e, privi di luce e di grazia, moriremo nei nostri peccati. Gesù: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita», e ci esorta: «Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre». Mi propongo oggi di alimentare con la preghiera la luce della mia fede.


Apoftegmi - Detti dei Padri

Se fai il tuo lavoro manuale nella cella e viene l'ora della preghiera, non dire: «Finirò i miei ramoscelli e il piccolo cesto e dopo mi alzerò», ma alzati subito e rendi a Dio il debito della preghiera; diversamente prenderai a poco a poco l'abitudine di trascurare la tua preghiera e il tuo Uffizio e la tua anima diventerà deserta di ogni opera spirituale e corporale. Poiché è dall'alba che si mostra la tua volontà.


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

I FRATELLI INFERMI

La cura degli infermi è da mettere prima di tutto e al di sopra di tutto, in modo che ad essi si serva davvero come a Cristo in persona, perché egli ha detto: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36); e ancora: «Quel che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40). Gli infermi, da parte loro, devono essere consapevoli che sono serviti in onore di Dio e non affliggere con eccessive pretese i fratelli che li assistono; tuttavia essi devono essere in ogni caso sopportati con pazienza, perché attraverso di loro si acquista una maggiore ricompensa. L'abate pertanto abbia la massima premura che i malati non siano trascurati in nessun modo.


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