Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire, Bassano Romano (VT)  
26 Settembre - 02 Ottobre 2004
Tempo Ordinario XXVI, Colore verde
Lezionario: Ciclo C | Anno II, Salterio: sett. 2

Commento alle Letture

Giovedì 30 settembre 2004

Il Silenzio fecondo di Dio...

A volte Dio sembra tacere dinanzi ai nostri drammi personali e a quelli di tutta l'umanità. Il silenzio di Dio però è sempre un silenzio fecondo che porta in sé speranza, luce, vita; diverso dal nostro più somigliante a quello degli amici di Giobbe, andati da lui per consolarlo. I tre amici, che poi diverranno quattro, si presentano a Giobbe e per ben sette giorni non fanno che piangere e stare in silenzio dinanzi a lui, ormai irriconoscibile nel suo aspetto a causa dei mali che lo sovrastano.
Questo lungo silenzio serviva loro per riflettere sulla causa della dolorosa situazione dell'amico, da questo stesso silenzio nascerà una lunga serie di discorsi che non faranno altro che acuire il dolore di Giobbe; benedetti "amici del cuore", a volte è meglio perderli che trovarli! Essi infatti, secondo la concezione tradizionale ebraica suppongono che Giobbe abbia meritato le sofferenze per i suoi peccati perché Dio è giusto e non può colpire con le sventure chi fa il bene.
Giobbe sa di non essere colpevole davanti a Dio e che il dolore non è una punizione dovuto al peccato quindi grida la sua ingiusta umiliazione e desidera che le sue parole rimangano scolpite in eterno dinanzi a Dio a testimonianza della sua innocenza. Prega inoltre gli amici di non tormentarlo più con le loro parole e attende solo da Dio la spiegazione di tutto ciò che gli è accaduto. Ci sono situazioni in cui solo Dio può aiutarci, misteri che solo lui può illuminare, tormenti che solo in lui si possono placare, perché Dio è l'unico vero amico, il nostro Goel, cioè il Vendicatore.
Giobbe sente ormai prossima la sua fine e pensa che Dio, dopo la sua morte, interverrà per difendere la sua causa e lui solo lo vedrà benché nell'AT non ci fosse un'idea chiara dell'altra vita, la speranza di Giobbe alla luce della rivelazione è già annuncio della morte e risurrezione di Cristo. Sì, è Gesù morto e risorto che fa vendetta ai nostri nemici, cioè dei nostri peccati, è lui che ci riscatta, ci libera, ci difende, ci dona la vita eterna, secondo quanto è profetizzato anche nel libro del profeta Isaia (Is 63,1. 4-6); Gesù, dinanzi al mistero della croce come agnello muto non aprì bocca ma offrì il suo corpo a tutta la violenza del mondo che su di lui si riversava.
Grande consolazione ci viene da questa sublime pagina del libro di Giobbe. Siamo nel cuore di Dio sempre, anche quando lui sembra tacere, il suo silenzio non si interrompe per dirci parole ma per donarci la Parola, il suo Figlio Gesù.
Questa Parola (Sap 18,14 - 15) uscita dal silenzio amoroso della Trinità non ci spiega il dolore, ma si fa solidale con il dolore, si fa dolore. Passa sulla terra beneficando, guarendo, compatendo, la sua persona gronda misericordia, non condanna chi lo respinge. E' proprio ciò che nel Vangelo di oggi sono chiamati a fare i settantadue discepoli: pregare, annunciare il Regno con mitezza, nella povertà, guarire i malati, perdonare, ridonare pace e speranza ai cuori affranti dal dolore. Il dolore è un qualcosa di sacro davanti al quale spesso è meglio tacere altrimenti si rischia di profanarlo; a volte può bastare uno sguardo, un gesto d'affetto, un sorriso, una preghiera detta insieme perché chi soffre accanto ritrovi coraggio e serenità. Giobbe, ancora una volta, ci insegna a "non gettare la spugna", a non arrenderci mai nella ricerca del volto di Dio, come anche prega il Salmista: " Il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto" (Sal 26,8-9), perché come dice S. Agostino commentando il versetto di questo salmo: "Non voglio altra ricompensa che vedere il tuo volto, voglio amarti gratuitamente, perché non trovo niente di più prezioso. Non voglio incontrare altro che te, perché tutto è delusione, per chi ama".


Apoftegmi - Detti dei Padri

Un novizio volle un giorno rinunciare al mondo. Disse all'anziano: "Voglio diventare monaco". L'anziano rispose: "Non ce la farai". L'altro disse: "Ce la farò". L'anziano disse: "Se realmente lo vuoi, va', rinuncia al mondo, poi vieni ad abitare nella tua cella. Egli se ne andò, donò ciò che possedeva, tenne per sé cento monete e tornò dall'anziano. L'anziano gli disse: «Va' ad abitare nella tua cella». Andò ad abitarvi. Mentre era là i suoi pensieri gli dissero: «La porta è vecchia e deve essere sostituita». Andò dunque a dire all'anziano: «I miei pensieri mi dicono: La porta è vecchia e deve essere sostituita». L'anziano gli rispose: «Tu non hai ancora rinunciato al mondo; va', rinuncia al mondo, e poi abita qui». Se ne andò, donò novanta monete, ne tenne dieci e disse all'anziano: «Ecco, ho rinunciato al mondo». L'anziano gli disse: «Va', abita nella tua cella». Andò ad abitarvi. Mentre era là i suoi pensieri gli dissero: «Il tetto è vecchio e deve essere rifatto». Andò dall'anziano: «I miei pensieri mi dicono: Il tetto è vecchio e deve essere rifatto». L'anziano gli disse: «Va', rinuncia al mondo». Il fratello se ne andò, donò le dieci monete e tornò dall'anziano: «Ecco che ho rinunciato al mondo». Mentre era nella sua cella i suoi pensieri gli dissero: «Ecco, tutto è vecchio, verrà il leone e mi mangerà». Espose i suoi pensieri all'anziano che gli disse: «Vorrei che tutto cadesse su di me e che il leone venisse a mangiarmi, per essere liberato dalla vita. Va', dimora nella tua cella e prega Dio».


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

QUALE DEVE ESSERE IL CELLERARIO DEL MONASTERO

Tutti gli oggetti e tutti i beni del monastero li consideri come i vasi sacri dell'altare; e non ritenga nulla di poco conto. Non si lasci dominare dall'avarizia e neppure sia prodigo o sperperatore dei beni del monastero, ma faccia tutto con misura e secondo le direttive dell'abate. Soprattutto sia umile e a chi non può procurare la cosa richiesta dia una buona parola di risposta, come sta scritto: «Una buona parola vale più di ogni dono prezioso» (Sir 18,16-17). Tenga sotto la sua cura soltanto ciò che l'abate gli avrà affidato; non ardisca invece ingerirsi in ciò da cui l'abate lo avrà escluso. 1La quantità di cibo stabilita la serva ai fratelli senza alcuna arroganza e senza ritardi per non scandalizzarli, ricordando che cosa meriti, secondo la parola del Signore, chi scandalizza uno dei piccoli (Mt 18,6).

Cap.31,10-16.