Il desiderio di felicità è innato nel cuore umano, anche se spesso ripetiamo, come un proverbio, che “la felicità non è di questo mondo”. Il Vangelo di oggi ci parla delle beatitudini, portandoci oltre la sfera puramente umana. Gesù, dal monte, proclama la “carta magna” del cristianesimo, ma le sue parole ci sconvolgono. I criteri che propone per raggiungere la beatitudine sono radicalmente opposti alla nostra mentalità mondana. Gesù inizia proclamando beati i poveri. Eppure, noi spesso siamo attratti dalla ricchezza, non solo economica, ma anche da ciò che promette, dai vantaggi materiali. Poi dice che saremo beati se abbiamo fame, se piangiamo, se siamo odiati e respinti. Ma noi cerchiamo benessere, tranquillità, gioia, prestigio e onori. Li consideriamo i segni della felicità e li vogliamo subito, in pienezza. Gesù, invece, parla di una ricompensa futura, che si realizzerà in una condizione di vita molto diversa da quella terrena. Solo la fede e la luce della croce possono aiutarci a comprendere e vivere queste beatitudini. Gesù ci spinge a scelte difficili e rischiose, ma che conducono a una felicità sicura ed eterna. Ci invita a confrontare due tipi di valori: quelli visibili e immediati, come il tempo, il denaro e le sicurezze umane, e quelli invisibili agli occhi, ma splendenti per chi ha fede, come l’eternità, la gioia senza fine e le ricchezze che non si consumano mai. Per orientarci con saggezza, abbiamo bisogno di una luce speciale nell’anima. I Santi sono il nostro esempio. Loro hanno scelto, senza esitazioni, la via della croce, certi di raggiungere la vera Vita. Per questo la Chiesa ce li propone come modelli sempre più frequentemente. Seguiamoli non solo venerandoli nei santuari o tenendo le loro immagini nei portafogli. Seguiamo il loro esempio concreto, nella vita di ogni giorno.
«Un anziano disse: "Se vedi uno cadere e puoi aiutarlo, tendigli il tuo bastone e fallo risalire. Ma se non puoi tirarlo su, lasciagli il tuo bastone e non perderti anche tu insieme a lui. Se gli dai la mano e non puoi trarlo su, sarà lui a trascinarti in basso e morirete tutti e due". Questo diceva per quelli che vogliono aiutare gli altri, al di là delle loro possibilità».
L'UMILTÀ Il quarto gradino dell'umiltà si sale quando nell'esercizio della stessa obbedienza, anche incontrando durezze e difficoltà e persino ricevendo delle ingiurie, si abbraccia nel silenzio del proprio cuore la pazienza, e sopportando tutto, non si viene meno né si indietreggia, perché la Scrittura dice: «Chi persevererà sino alla fine sarà salvato» (Mt 10,22); e ancora: «Si rinfranchi il tuo cuore e sopporta la prova del Signore» (Sal 26,14 Volg.). E per mostrare che il fedele deve sostenere per il Signore anche tutte le contrarietà possibili, la Scrittura dice nella persona di quelli che soffrono: «Per te ogni giorno siamo messi a morte, stimati come pecore da macello» (Sal 43,23); e, certi della speranza della ricompensa divina, essi proseguono con gioia: «Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati» (Rm 8,37). Così pure in un altro passo la Scrittura dice: «Dio, tu ci hai messi alla prova; ci hai passati al crogiuolo come l'argento. Ci hai fatti cadere in un agguato, hai messo un peso ai nostri fianchi» (Sal 65,10-11). E per indicare che dobbiamo sottostare a un superiore, prosegue: «Hai posto un uomo sulle nostre teste» (Sal 65,12).