È una tentazione ricorrente quella di sentirsi abbandonati da Dio nei momenti in cui infuriano le tempeste più furibonde nella nostra vita personale e nella storia del mondo. Gli apostoli si lìmitano a dire a Gesù, placidamente addormentato a poppa: "Maestro, non t'importa che siamo perduti?". Molti in simili circostanze muovono ben altre accuse al buon Dio. Accuse che talvolta sfociano nella bestemmia e nell'ateismo. È difficile per l'essere umano ammettere che non è Dio ad essere incurante della nostra sorte, ma noi a non esprimere a dovere la nostra fede. Lo stesso Gesù rimprovera i suoi dicendo loro: "Non avete ancora fede?". Da questa mancanza sgorgano tante paure, spesso anche ingiustificate. Un Dio prima misconosciuto, rinnegato e talvolta perfino offeso, dovrebbe poi al primo richiamo destarsi per noi e calmare la furia dei venti e delle onde. Dinanzi a tanti eventi dovremmo piuttosto riflettere seriamente sulle conseguenze delle nostre assurde avventure di navigatori solitari nei mari tempestosi della vita. Se nella nostra barca Cristo non c'è, se l'abbiamo emarginato, radiato e tenuto colpevolmente lontano, non possiamo poi pretendere che ci possa e debba soccorrere dinanzi alle nostre improvvise paure e alla caduta delle nostre assurde presunzioni. Per nostra colpa periamo nelle nostre tempeste! Sarebbe falsa e dannosa una religione che intervenisse a confermare le nostre scelte peccaminose riparando gratuitamente e con la massima urgenza tutti i danni che ci procuriamo e servisse a guarirci istantaneamente e gratuitamente da tutti i nostri mali. Gesù ha respinto la sfida e la tentazione di usare la sua divina potenza per scendere dalla croce ed evitare la morte. Occorre rivestirsi di sentimenti di umiltà nei confronti del Signore, riconoscere sempre la nostra dipendenza da Lui, prendere atto, come fa Giobbe, dei nostri limiti e della sua infinita sapienza e convincersi che solo con la fede possiamo vedere il suo Volto. Un salmista ripete: "Anche se camminassi in una valle oscura, non temo alcun male perché tu sei con me, Signore". Nell'umile e devota conoscenza del Signore, nella certezza di vivere in comunione di amore con Lui, abbiamo la garanzia della sua divina costante protezione. Prendiamone, nella fede, coscienza.
L'abba disse: "non vi è virtù così grande come il non disprezzare".
I PORTINAI DEL MONASTERO Alla porta del monastero sia posto un fratello anziano saggio, capace di ricevere e dare una risposta e la cui età avanzata non gli permetta di andar vagando qua e là. Il portinaio deve avere la sua cella vicino alla porta, perché chi arriva al monastero trovi sempre uno pronto a dare una risposta. E appena qualcuno bussa o un povero chiama, egli dica subito Deo gratias oppure Benedic; e con tutta la dolcezza suggerita dal timor di Dio dia la risposta prontamente con fervore di carità. Se il portinaio ha bisogno di aiuto, gli si dia un fratello più giovane.