«Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento». Egli lo dichiara apertamente: «Non sono venuto a fare la mia volontà, ma la volontà di chi mi ha mandato». Questo, dice San Paolo, avviene quando venne la pienezza del tempo e Dio mandò il suo Figlio, come una definitiva e piena attualizzazione di un suo progetto di salvezza. È l'avverarsi e l'adempimento di una profezia, di un programma, che dall'Eterno si cala nella nostra storia. Sappiamo poi che questo si avvera in pienezza in Cristo quando dall'alto della croce, dopo la crudelissima passione dice al Cielo e alla terra: "Tutto è compiuto". C'è una evoluzione in questa storia, una crescita e un perfezionamento, un adempimento che non cancella il passato, ma lo svela nella sua pienezza. Tutto poi si cala nella nostra vita, nella storia del mondo e di ognuno, essendo noi, figli di Dio, i destinatari dell'"Opera" e dei benefici che ne derivano. In Cristo il percorso di recupero della bellezza primordiale, il cammino verso il bene si adorna di energie nuove: le nostre debolezze, le ferite del peccato vengono guarite, i dispersi recuperano la via, uno spirito nuovo alita sul mondo. Comprendiamo allora perché Gesù ci dice che la nostra giustizia dovrà superare quella degli scribi e dei farisei per entrerete nel regno dei cieli. Perché chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. E ancora, perché: chiunque guarda una donna con desiderio, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. E ancora: "Non spergiurare, ma il vostro parlare sia sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno». Sia perfezione la norma perché Dio è con noi nella persona di Cristo. La grazia ci abilita alla perfezione!
«Un anziano disse: "Se vedi uno cadere e puoi aiutarlo, tendigli il tuo bastone e fallo risalire. Ma se non puoi tirarlo su, lasciagli il tuo bastone e non perderti anche tu insieme a lui. Se gli dai la mano e non puoi trarlo su, sarà lui a trascinarti in basso e morirete tutti e due". Questo diceva per quelli che vogliono aiutare gli altri, al di là delle loro possibilità».
L'UMILTÀ Il quarto gradino dell'umiltà si sale quando nell'esercizio della stessa obbedienza, anche incontrando durezze e difficoltà e persino ricevendo delle ingiurie, si abbraccia nel silenzio del proprio cuore la pazienza, e sopportando tutto, non si viene meno né si indietreggia, perché la Scrittura dice: «Chi persevererà sino alla fine sarà salvato» (Mt 10,22); e ancora: «Si rinfranchi il tuo cuore e sopporta la prova del Signore» (Sal 26,14 Volg.). E per mostrare che il fedele deve sostenere per il Signore anche tutte le contrarietà possibili, la Scrittura dice nella persona di quelli che soffrono: «Per te ogni giorno siamo messi a morte, stimati come pecore da macello» (Sal 43,23); e, certi della speranza della ricompensa divina, essi proseguono con gioia: «Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati» (Rm 8,37). Così pure in un altro passo la Scrittura dice: «Dio, tu ci hai messi alla prova; ci hai passati al crogiuolo come l'argento. Ci hai fatti cadere in un agguato, hai messo un peso ai nostri fianchi» (Sal 65,10-11). E per indicare che dobbiamo sottostare a un superiore, prosegue: «Hai posto un uomo sulle nostre teste» (Sal 65,12).