«Che vuoi da noi, Figlio di Dio? Sei venuto qui a tormentarci prima del tempo?». Due indemoniati escono dal buio dei sepolcri, pare sia questa la loro dimora nel regno della morte, una caratteristica del loro inferno, e gridano minacciosi verso Gesù: dichiarano di non voler condividere nulla con Lui, che viene invece dal Regno dell'amore e nel loro livore affermano che Egli è anzitempo la causa della loro rovina e motivo di tormento. Chiedono di essere mandati ad invasare una mandria di porci, tra quegli animali che nel mondo giudaico rappresentavano l'essenza stessa dell'impurità. Li attende un precipizio di morte tra i flutti del mare! Un salmista afferma nella sua grande disgrazia: «Un abisso chiama l'abisso al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati». I demòni si sono dati una definizione in lingua latina che ha del demonìaco, recita così e il lettore può leggerla nei due versi, da destra a sinistra e viceversa: «In girum imus nocte et consumimur igni»: «andiamo vagando nelle tenebre della notte e siamo divorati dal fuoco». Ai nostri giorni, non si parla più del demonio, si arriva a negarne l'esistenza e non ci accorge che così egli si nasconde ed opera le sue trame contro di noi. Lo si nega anche dinanzi alle più evidenti azioni diaboliche, anche quando il male serpeggia e poi assume dimensioni disastrose e ciò sia a livello personale che collettivo. In due modi essenzialmente agisce: si nasconde per non farsi riconoscere e poi cerca di carpire e nascondere Dio alla vista dell'uomo. È il suo capolavoro! Il Signore Gesù è venuto per sconfiggerlo e scacciarlo per sempre dal nostro mondo: «Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, poiché è stato precipitato l'accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte». Non dobbiamo essere noi a riaprirgli le porte e dargli accoglienza.
Il padre Teoflo arcivescovo si recò un giorno al monastero. I fratelli riunitisi dissero al padre Pambone: "di' al papa una parola di edificazione". L'anziano rispose: "se il papa non è edificato dal mio silenzio non potrà esserlo dalle mie parole".
NON TUTTE LE NORME PER LA PERFEZIONE SONO CONTENUTE IN QUESTA REGOLA Questa Regola noi l'abbiamo tracciata perché, osservandola nei monasteri, diamo una qualche prova di buoni costumi e di un inizio almeno di vita monastica. Per chi però vuole affrettarsi verso la perfezione della vita monastica, ci sono gli insegnamenti dei santi padri, la cui osservanza conduce l'uomo al culmine della santità. Quale pagina infatti o quale parola di autorità divina sia dell'Antico che del Nuovo Testamento non è norma sicurissima di condotta per la vita umana? O quale libro dei santi padri cattolici non insiste perché si corra per la via diritta verso il nostro Creatore? Così pure le Collazioni dei padri, le Istituzioni, le loro Vite e ancora la Regola del nostro santo padre Basilio, che altro sono se non strumenti di virtù per monaci fervorosi e obbedienti? Ma per noi, monaci svogliati, cattivi e negligenti, tutto ciò è motivo di rossore e di vergogna.