Quello che secondo gli scribi e i farisei sarebbe un motivo di accusa nei confronti del Signore fa parte invece della sua missione ed è insito nella sua stessa matura divina. «Dio è amore», dice l'evangelista Giovanni. Lo stesso Gesù ribadisce di non essere venuto per i giusti e per i sani, ma per i peccatori e per i malati. S'intrecciano infatti nella sua vita terrena un susseguirsi di prodigiose guarigioni nel corpo e nello spirito degli uomini che, con fede, si accostavano a Lui. La parabola che segue è tra le più belle e coinvolgenti. In modo efficace ci fa comprendere l'insania dell'uomo che si distacca dal suo Creatore e Padre, per disperdere nel peggiore dei modi i doni di Dio e l'infinita misericordia del Padre che attende a braccia aperte il ritorno del Figlio. Le nostre bramosie, soddisfatte negli spazi della libertà senza Dio, si tramutano in fame e la nostra stessa dignità di figli si tramuta in avvilente servitù. Per nostra fortuna e per grazia di Dio, ci rimane sempre la nostalgia della Casa paterna e la voce della coscienza, per quanto offuscata dal male, non smette mai di pulsarci dentro per farci riscoprire e desiderare la via del ritorno. «Mi alzerò, andrò da mio padre» è stato il grido interiore e il pensiero guida della schiera innumerevole dei convertiti e di tutti coloro che dopo aver sperimentato la disfatta del peccato, hanno ritrovato la via della riconciliazione con Dio. Ci è di ulteriore conforto la certezza che la pesante fatica del ritorno, dalla valle dei porci alla Casa del Padre, è stata portata per noi dallo stesso Cristo, che ci precede carico della croce fino al monte della risurrezione e della festa pasquale. Ci sorprende e ci commuove poi il fatto che mentre nella migliore delle ipotesi dopo il peccato con cui rinneghiamo l'amore divino, noi ci saremmo aspettato un meritato castigo o almeno di essere relegati nel novero dei servi..., siamo invece accolti a braccia aperte dal Padre celeste. Egli ci rivuole come figli e non come schiavi. Il rientro nella sfera del suo amore è motivo di festa grande: Dio vuole renderci partecipi della sua gioia, che trae origine dall'infinito amore che nutre per noi. Come è triste invece l'atteggiamento del Figlio, che non intende partecipare alla festa. Egli non ha compreso che il servizio dato a Dio è motivato solo dall'amore, che diventa misericordia e perdono totale quando ciò che è perduto viene ritrovato. Soltanto chi ama può comprendere la misericordia. Soltanto chi ne ha goduto diventa poi capace di ridonarla come gratitudine a Dio e come amore e perdono verso il prossimo.
«Amare è far esistere l'altro, forse è ascoltarlo invece di parlare, ricevere da lui invece di voler dare. Forse egli aspetta che io abbia bisogno di lui».
CON QUALE ORDINE DEVONO DIRSI I SALMI Ai Vespri si cantino ogni giorno quattro salmi, a partire dal 109 fino al 147, eccettuati quelli che si devono utilizzare per altre Ore, cioè dal salmo 117 al 127 e inoltre il 113 e il 142; tutti gli altri si dicano ai Vespri. E poiché verrebbero a mancare tre salmi, si devono dividere della serie suddetta i più lunghi, cioè il 138, il 143 e il 144; invece il salmo 116, dato che è molto breve, si unisca al 115. Stabilito così per i Vespri l'ordine dei salmi, tutto ciò che rimane, cioè la lettura, il responsorio, l'inno, il versetto e il cantico si compia come abbiamo indicato sopra.