Oggi Gesù parla ai suoi amici. Aveva rimproverato i farisei e i dottori della legge che la usano per abbellire la loro immagine, preoccupati soltanto dell'apparenza e di aumentare il loro prestigio, invece di pulire la coppa all'interno. Essi nascondono la loro corruzione e perversità uccidendo così i profeti che vengono a smascherare la loro iniquità. Gesù si rivolge di nuovo ai suoi amici: a "chiunque" lo "riconoscerà davanti agli uomini". Nel Vangelo di Giovanni dice: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici", e poi: "Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l' ho fatto conoscere a voi". Veramente desidera che diventiamo figli come Lui, secondo il progetto di vita del Padre. Spesso usiamo i doni della nostra chiamata, dell'amicizia di Cristo con la stessa mentalità dei farisei, per attirare la stima, oppure ritirandoci dal dare la "Chiave", Cristo, a chi si trova in una situazione umana difficile, con la vergogna o con la paura che l'altro si possa offendere, di diventare scomodi per l'ascoltatore, o ancora, per non perdere la faccia. Altre volte annunciamo Gesù Cristo con facilità, ma quante volte le nostre azioni non corrispondono alla fede e alla speranza che professiamo! Non è questo rubare la gloria a Dio? Il versetto,"Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini", ci riporta un po' al comando che Cristo dà ai discepoli davanti alla folla affamata: "Date loro voi stessi da mangiare", e come i discepoli anche noi protestiamo dicendo : "non abbiamo che cinque pani e due pesci", come se Lui non conoscesse la nostra realtà. Accecati consideriamo solo la nostra povertà, davanti a chi ha tanto bisogno, l'altro e Cristo insieme spariscono. Gesù ci chiede ciò che abbiamo: la nostra povertà, ciò che ci è stato dato: la fede e la speranza in Lui. Cristo stesso si fa povero come noi, si appropria della nostra povertà in tutte le sue forme e ci dà la Grazia. Gesù dice ancora che potrà essere scusato chi non riconosce il Messia, visto che si presenta come uomo ordinario, "Figlio dell'uomo", ma è decisamente perverso vedere le opere buone dello Spirito Santo e poi dichiararlo empio. Facendo così, rinnegando consapevolmente e apertamente Dio, ci si mette fuori del perdono. Gesù ci esorta, poi, a non preoccuparci di come discolparci, a non preparare la difesa, a comportarci davanti ai persecutori come Lui stesso si comporterà nella passione. Ci invita così a non aver paura di essere derisi, scherniti e di lasciare che gli altri giudichino la nostra vita una pazzia. Non è proprio questo il servizio a cui siamo chiamati, il servizio di amicizia, di appartenenza per cui siamo stati consacrati? Non siamo chiamati a difendere la nostra vita ma a proclamare la vita di Cristo! Lui stesso si prenderà cura di noi: "Non preoccupatevi come discolparvi..." parole di incoraggiamento, che racchiudono una chiamata amorevole alla fede, alla visione delle opere di risurrezione che Lui compie ogni giorno in e intorno a noi. Gesù sa che non siamo in grado né di difendere la sua Parola, né la nostra vita ambigua davanti alla sua luce, perciò ci assicura della sua vicinanza e subito annuncia l'eredità promessa: "lo Spirito vi insegnerà ciò che bisogna dire". Ecco l'amicizia eterna offerta da Cristo. Sarà il Paraclito a difendere la sua Parola, il Cristo vivente sulla terra, e sarà Cristo a difendere la nostra vita davanti al Padre in cielo. Sarà lo Spirito che ci immergerà nel mistero della Trinità e lo Spirito che ci porterà sempre di più a saperci conosciuti dal Padre, amati da Lui. Che cosa suscita in S. Paolo una tal gioia e una gratitudine infinita verso Dio per la comunità di Efeso, se non lo stesso spirito di amore e unità della Chiesa? Paolo sembra percepire in essa la gloria del Corpo di Cristo, un amore fraterno che prova la supremazia di Cristo: "Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi". E' la sua presenza viva che ha il potere di generare una nuova creazione, un uomo vivo, con un cuore solo e un'anima sola. Una nuova creazione inoltre, aperta a tutte le nazioni, perché Cristo "è tutto in tutti" e il suo è un' amore inesauribile.
Fu domandato a un anziano: «Che cosa è l'umiltà?». Egli disse: «Che, se tuo fratello pecca contro di te, tu lo perdoni prima che egli ti testimoni il suo pentimento».
LA MISURA DEL BERE A dire il vero, leggiamo che il vino non è assolutamente fatto per i monaci; ma siccome i monaci dei nostri tempi non riescono a capire questo, almeno si stia attenti a non bere fino alla sazietà ma con moderazione, perché il vino fa traviare anche i saggi (Sir 19,2). Dove poi le condizioni del luogo sono tali da non poter assicurare nemmeno la quantità su indicata, ma molto di meno o addirittura niente, benedicano il Signore i monaci ivi residenti e non mormorino; e questo soprattutto ci teniamo a raccomandare: che si guardino da qualsiasi mormorazione.