Cade Gerusalemme, il tempio è distrutto, comincia un nuovo esilio, accadono fatti tremendi e sconvolgimenti naturali, ci verrebbe da dire, il mondo impazzisce, ma non è la fine, anzi "sappiate che la vostra liberazione è vicina". Questo è da sempre il linguaggio di Dio, questo è venuto ad insegnarci Cristo Gesù: il castigo viene inevitabile quando l'uomo si allontana da Dio e si autocondanna ad una assurda solitudine, vuole percorre le proprie vie e non quelle segnate dal Signore. Proprio però in coincidenza con le peggiori nefandezze, con le situazioni di estremo disagio Egli interviene come liberatore e salvatore. Non per niente mentre consumavamo il peggiore peccato della storia uccidendo sul Calvario il Figlio di Dio e calandolo in un sepolcro, è sgorgata dal cuore del Padre e dall'amore di Cristo la risurrezione per tutti noi. Sembra che dobbiamo toccare il fondo per sperare una risalita e una liberazione. Forse ciò accade perché Colui che ci ha creati sin dal principio si è fatto garante della nostra libertà e permette che questa venga usata anche contro Chi gratuitamente e generosamente ce l'ha donata. È quella "pienezza" di cui parla S. Paolo o di quel calice stracolmo da bere sino alla feccia. Comunque è sempre vero che il Signore non vuole la nostra morte, ma spera ed attende sempre la nostra conversione. Egli vuole che in noi mai si spenga la speranza, mai abbiamo a sperimentare l'abbandono. Egli dirige i fatti della storia di ognuno di noi e di tutta l'umanità verso una risoluzione finale, verso un approdo che s'identifica con la salvezza universale. Per questo ha perpetuato il suo sacrificio e ce lo fa celebrare come un memoriale: deve esserci una coincidenza ed un incontro continuo tra il nostro peccato e la sua misericordia, tra le nostre svariate forme di schiavitù e la sua incessante liberazione. Ecco perché noi cristiani seguitiamo a credere, nonostante tutto, che la nostra liberazione è vicina.
Raccontava del padre Dioscuro, che mangiava pane d'orzo e farina di lenticchie. Ogni anno si proponeva le pratiche di una nuova disciplina. Diceva: "Non avrò incontri con nessuno quest'anno", oppure: "non parlerò", oppure: "Non mangerò nulla di cotto", o ancora: "non mangerò frutta e verdura". Faceva così tutte le pratiche possibili, non faceva in tempo a compierne una che ne inizia un'altra. E ciò avveniva ogni anno.
I FIGLI DEI NOBILI E DEI POVERI Se per caso un nobile vuole offrire il proprio figlio a Dio nel monastero e il fanciullo è ancora in tenera età, i genitori scrivano la carta di petizione, di cui abbiamo parlato sopra; e insieme alle offerte della Messa avvolgano nella tovaglia dell'altare la stessa petizione e la mano del fanciullo; e così lo offrano.