Figlio di Zebedeo, fratello di Giacomo il maggiore, discepolo di Giovanni Battista, è fra i primi a passare alla sequela di Gesù. E' il discepolo prediletto che nell'ultima cena posò il capo sul petto di Gesù. Testimone della trasfigurazione e dell'agonia del Signore, è presente ai piedi della croce, dove Gesù gli affida la Madre. Insieme a Pietro vide il sepolcro vuoto e credette nella risurrezione del Signore. Evangelista e teologo, penetra profondamente il mistero del Verbo fatto uomo, pieno di grazia e di verità. Nella prima lettera, vertice di tutta la teologia sapienziale, ci dà la più alta definizione della divinità: Dio è amore. Esiliato nell'isola di Patmos, fu rapito in estasi nel giorno del Signore ed ebbe le visioni che descrisse nell'Apocalisse, ultimo libro del Nuovo Testamento. La sua memoria il 27 dicembre è ricordata in un «Breviario» siriaco della fine del sec. IV e nel martirologio geronimiano.
Festa di san Giovanni, Apostolo ed Evangelista, che, figlio di Zebedeo, fu insieme al fratello Giacomo e a Pietro testimone della trasfigurazione e della passione del Signore, dal quale ricevette stando ai piedi della croce Maria come madre. Nel Vangelo e in altri scritti si dimostra teologo, che, ritenuto degno di contemplare la gloria del Verbo incarnato, annunciò ciò che vide con i propri occhi.
Dai «Trattati sulla prima Lettera di Giovanni» di sant'Agostino, vescovo
Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi e ciò che le nostre mani hanno toccato del Verbo della vita (cfr. 1 Gv 1, 1). Chi è che tocca con le mani il Verbo, se non perché il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi? (cfr. Gv 1, 14).
Il Verbo che si è fatto carne, per poter essere toccato con mano, cominciò ad essere carne della Vergine Maria; ma non cominciò allora ad essere Verbo, perché è detto: «Ciò che era fin da principio». Vedete se la lettera di Giovanni non conferma il suo vangelo, dove ora avete udito: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio» (Gv 1, 1).
Forse qualcuno prende l'espressione «Verbo della vita» come se fosse riferita a Cristo, ma non al corpo di Cristo toccato con mano. Ma fate attenzione a quel che si aggiunge: «La vita si è fatta visibile» (1 Gv 1, 2). E' Cristo dunque il verbo della vita.
E come si è fatta visibile? Esisteva fin dal principio, ma non si era ancora manifestata agli uomini; si era manifestata agli angeli ed era come loro cibo. Ma cosa dice la Scrittura? «L'uomo mangiò il pane degli angeli« (Sal 77, 25).
Dunque la vita stessa si è resa visibile nella carne; si è manifestata perché la cosa che può essere visibile solo al cuore diventasse visibile anche agli occhi e risanasse i cuori. Solo con il cuore infatti può essere visto il Verbo, la carne invece anche con gli occhi del corpo. Si verificava dunque anche la condizione per vedere il verbo: il Verbo si è fatto carne, perché la potessimo vedere e fosse risanato in noi ciò che ci rende possibile vedere il Verbo.
Disse: «Noi rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile» (1 Gv 1, 29, ossia, si è resa visibile fra di noi; o meglio, si è manifestata a noi.
«Quello dunque che abbiamo veduto e udito, lo annunziamo anche a voi» (1 Gv 1, 3). Comprenda bene il vostro amore: «Quello che abbiamo veduto e udito, lo annunziamo anche a voi». Essi videro il Signore stesso presente nella carne e ascoltarono le parole dalla bocca del Signore e lo annunziarono a noi. Anche noi perciò abbiamo udito, ma non abbiamo visto.
Siamo dunque meno fortunati di coloro che hanno visto e udito? E come mai allora aggiunge: «Perché anche voi siate in comunione con noi»? (1 Gv 1, 3).Essi hanno visto, noi, no, eppure siamo in comunione, perché abbiamo una fede comune.
La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la vostra gioia sia perfetta (cfr. 1 Gv. 1, 3-4). Afferma la pienezza della gioia nella stessa comunione, nello stesso amore, nella stessa unità.(Tratt. 1, 1. 3; PL 35, 1978. 1980)
Giovanni, figlio di Zebedeo, è chiamato da Gesù insieme al fratello Giacomo, durante il loro lavoro di pescatori (cf. Mt 4, 21-22); i due sono annoverati tra i Dodici e vengono nominati da Gesù «Boanèrghes, cioè “figli del tuono”» (Mc 3, 17). Giovanni, con Pietro e Giacomo, è tra i discepoli più intimi di Gesù, quelli che accompagnano il Maestro in alcuni momenti particolarmente importanti: quando Gesù guarisce la suocera di Pietro (Mc 1, 29); quando fa rivivere la figlia del capo della sinagoga, Giairo (Mc 5, 37); quando si trasfigura sul monte (Mc 9, 2); nella preghiera al Getsemani (cf. Mc 14, 33). Appare sempre accanto a Pietro nei primi momenti della comunità: la guarigione dello storpio (At 3, 1-4.11); nel primo arresto e giudizio del sinedrio (cf. At 4, 1-20); in Samaria a confermare i primi credenti (At 8, 14). Sempre insieme a Pietro e a Giacomo, il «fratello del Signore», è presentato come una delle «colonne» della comunità di Gerusalemme (Gal 2, 9). La tradizione riconosce in lui il «discepolo amato», di cui parla il Vangelo di Giovanni, che gli è attribuito insieme alle tre lettere che portano il suo nome e all’Apocalisse. Giovanni è ricordato il 27 dicembre nel cosidetto Breviario siriaco (sec. IV) e nel Martirologio geronimiano (sec. V-VI).