Andrea Dung († Hanoi, Vietnam, 21 dicembre 1839), figlio di genitori pagani in estrema povertà, fu venduto da bambino a un catechista cattolico; battezzato e istruito nella fede, divenne a sua volta catechista, quindi presbitero. Arrestato una prima volta come cristiano, quindi liberato, tentò di celarsi sotto il nuovo cognome Lac. Nuovamente scoperto e arrestato, testimoniò la sua fede fino alla morte. Con lui si commemorano altri 116 martiri, tra vescovi, preti e laici, la maggior parte dei quali vietnamiti, vittime di varie persecuzioni tra il 1745 e il 1862. La Chiesa del Vietnam, sorta a seguito del primo annuncio portato dai Gesuiti all'inizio del Seicento, ebbe grande sviluppo ma incontrò forti resistenze da parte delle culture e delle religioni locali, divenendo oggetto di ripetute ondate di persecuzione, con una quantità innumerevole di martiri (stimati in 130.000).
Memoria dei santi Andrea Dung Lac, sacerdote, e compagni, martiri. Con un'unica celebrazione si onorano centodiciassette martiri di varie regioni del Viet Nam, tra i quali otto vescovi, moltissimi sacerdoti e un gran numero di fedeli laici di entrambi i sessi e di ogni condizione ed età, che preferirono tutti patire l'esilio, il carcere, le torture e l'estremo supplizio piuttosto che recare oltraggio alla croce e rinnegare la fede cristiana.
Dall'epistolario di san Paolo Le-Bao-Tinh agli alunni del Seminario di Ke-Vinh nel 1843.
La partecipazione dei martiri alla vittoria del Cristo capo.
Io, Paolo, prigioniero per il nome di Cristo, voglio farvi conoscere le tribolazioni nelle quali quotidianamente sono immerso, perché infiammati dal divino amore, innalziate con me le vostre lodi a Dio: eterna è la sua misericordia (Sal 135, 3).
Questo carcere è davvero un'immagine dell'inferno eterno: ai crudeli supplizi di ogni genere, come i ceppi, le catene di ferro, le funi, si aggiungono odio, vendette, calunnie, parole oscene, false accuse, cattiverie, giuramenti iniqui, maledizioni e infine angoscia e tristezza.
Dio, che liberò i tre giovani dalla fornace ardente, mi è sempre vicino; e ha liberato anche me da queste tribolazioni, trasformandole in dolcezza: eterna è la sua misericordia.
In mezzo a questi tormenti, che di solito piegano e spezzano gli altri, per la grazia di Dio sono pieno di gioia e letizia, perché non sono solo, ma Cristo è con me. Egli, nostro maestro, sostiene tutto il peso della croce, caricando su di me la minima e ultima parte: egli stesso combattente, non solo spettatore della mia lotta; vincitore e perfezionatore di ogni battaglia. Sul suo capo è posta la splendida corona di vittoria, a cui partecipano anche le membra.
Come sopportare questo orrendo spettacolo, vedendo ogni giorno imperatori, mandarini e i loro cortigiani, che bestemmiano il tuo santo nome, Signore, che siedi sui Cherubini (cfr. Sal 79, 2) e i Serafini?
Ecco, la tua croce è calpestata dai piedi dei pagani! Dov'è la tua gloria? Vedendo tutto questo preferisco, nell'ardore della tua carità, aver tagliate le membra e morire in testimonianza del tuo amore.
Mostrami, Signore, la tua potenza, vieni in mio aiuto e salvami, perché nella mia debolezza si è manifestata e glorificata la tua forza davanti alle genti; e i tuoi nemici non possono alzare orgogliosamente la testa, se io dovessi vacillare lungo il cammino.
Fratelli carissimi, nell'udire queste cose, esultate e innalzate un perenne inno di grazie a Dio, fonte di ogni bene, e beneditelo con me: eterna è la sua misericordia. L'anima mia magnifichi il Signore e il mio spirito esulti nel mio Dio, perché ha guardato l'umiltà del suo servo e d'ora in poi le generazioni future mi chiameranno beato (cfr. Lc 1, 46-48): eterna è la sua misericordia.
Lodate il Signore, popoli tutti; voi tutte, nazioni, dategli gloria (Sal 116, 1), poiché Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole, per confondere i forti; ciò che è spregevole, per confondere i potenti (cfr. 1 Cor 1, 27). Con la mia lingua e il mio intelletto ha confuso i filosofi, discepoli dei saggi di questo mondo: eterna è la sua misericordia.
Vi scrivo tutto questo, perché la vostra e la mia fede formino una cosa sola. Mentre infuria la tempesta getto l'àncora fino al trono di Dio: speranza viva, che è nel mio cuore.
E voi, fratelli carissimi, correte in modo da raggiungere la corona (cfr. 1 Cor 9, 24); indossate la corazza della fede (cfr. 1 Ts 5, 8); brandite le armi del Cristo, a destra e a sinistra (cfr. 2 Cor 6, 79), come insegna san Paolo, mio patrono. È bene per voi entrare nella vita zoppicanti o con un occhio solo (cfr. Mt 18, 8-9), piuttosto che essere gettati fuori con tutte le membra.
Venite in mio soccorso con le vostre preghiere, perché possa combattere secondo la legge, anzi sostenere sino alla fine la buona battaglia, per concludere felicemente la mia corsa (cfr. 2 Tm 4, 7).
Se non ci vedremo più nella vita presente, questa sarà la nostra felicità nel mondo futuro: staremo davanti al trono dell'Agnello immacolato e canteremo unanimi le sue lodi esultando in eterno nella gioia della vittoria. Amen.
(Launay A.: Le clergé tonkinois et ses prêtres martyrs, MEP, Paris 1925, pp. 80-83).
Gli storici sono d'accordo nel datare la sua nascita attorno al 528. A 15 anni entra nel monastero di Cluan, nell'Ulster; poi passa nel celebre monastero di Bangor, sotto la direzione di un santo, l'abate Comgall. Colombano diventa capo di un gruppo di dodici monaci che passano il mare per giungere sul continente. Colombano e i suoi confratelli depongono il sacco da viaggio in Bretagna. Dopo avere fondato tanti monasteri, muore nel 615.
San Colombano, abate, che di origine irlandese, fattosi pellegrino per Cristo per istruire nel Vangelo le genti della Francia, fondò insieme a molti altri monasteri quello di Luxeuil, che egli stesso governò in una stretta osservanza della regola; costretto all'esilio, attraversò le Alpi e fondò in Emilia il monastero di Bobbio, celebre per la disciplina e gli studi, dove, benemerito della Chiesa, morì in pace e il suo corpo fu deposto in questo giorno.
Dalle "Istruzioni" di san Colombano, abate
Mosé ha scritto nella legge: Dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Gn 1, 27. 26). Considerate, vi prego, la grandezza di questa espressione Dio onnipotente, invisibile, incomprensibile, ineffabile, inestimabile, plasmò l'uomo dal fango della terra e lo nobilitò con la dignità della sua immagine. Che cosa vi può essere di comune tra l'uomo e Dio, tra il fango e lo spirito? "Dio", infatti, "é spirito" (Gv 4, 24). Quale grande degnazione é stata questa, che Dio abbia dato all'uomo l'immagine della sua eternità e la somiglianza del suo divino operare! Grande dignità deriva dall'uomo da questa somiglianza con Dio, purché sappia conservarla. Gravissimo titolo di condanna é invece per lui la profanazione di quella immagine. Se l'uomo userà rettamente di quella facoltà che Dio ha concesso alla sua anima, allora sarà simile a Dio. Ricordiamoci che gli dobbiamo restituire tutti quei doni che egli ha depositato in noi quando eravamo nella condizione originaria. Ce ne ha insegnato il modo con i suoi comandamenti.
Il primo di essi é quello di amare il Signore nostro con tutto il cuore, perché egli per primo ci ha amati, fin dall'inizio dei tempi, prima ancora che noi venissimo alla luce di questo mondo. L'amore di Dio é la rinnovazione della sua immagine. Ama veramente Dio chi osserva i suoi comandamenti, poiché egli ha detto: "Se mi amate, osserverete i miei comandamenti" (Gv 14, 15). Il suo comandamento é l'amore reciproco. Così é stato detto: "Quetso é il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati" (Gv 15, 12). Il vero amore però non si dimostra con le sole parole "ma coi fatti e nella verità" (1 Gv 3, 18). Dobbiamo quindi restituire al Dio e Padre nostro la sua immagine non deformata, ma conservata integra mediante la santità della vita, perché egli é santo.
Per questo é stato detto: "Siate santi, perché o sono santo" (Lv 11, 44). Dobbiamo restituirgliela nella carità, perché egli é carità, secondo quanto dice Giovanni: "Dio é carità" (1 Gv 4, 18). Dobbiamo restituirgliela nella bontà e nella verità, perché egli é buono e verace. Non siamo dunque pittori di una immagine diversa da questa. Dipinge in sé l'immagine di un tiranno chi é violento, facile all'ira e superbo. Perché non avvenga che dipingiamo nel nostro animo immagini tiranniche, intervenga Cristo stesso e tracci nel nostro spirito i lineamenti precisi di Dio. Lo faccia proprio trasfondendo in noi la sua pace, lui che ha detto: "Vi lascio la mia pace, vi do la mia pade" (Gv 14, 27). Che cosa tuttavia ci servirebbe sapere che la pace é in sé buona, se poi non fossimo capaci di conservarla? In genere le cose migliori sono anche le più fragili. Le cose più preziose poi esigono la vigilanza più cauta e diligente. E' troppo fragile quello che si spezza con una sola parola o che va in rovina per la più piccola offesa al fratello. Nulla piace tanto agli uomini quanto parlare delle cose altrui, darsi pensiero degli affari degli altri e passare il tempo in inutili conversazioni, mormorando degli assenti.
Tacciano quelli che non possono dire: "Il Signore mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola" (Is 50, 4) e, se dicono qualcosa, sia una parola di pace. (Istr. 11, 1-2; Opera, Dublino 1957, 106-107)