Inizia la settimana santa.
Nella settimana santa la Chiesa celebra i misteri della salvezza portati a compimento da Cristo negli ultimi giorni della sua vita, a cominciare dal suo ingresso messianico in Gerusalemme fino alla sua beata passione e gloriosa risurrezione.
La Domenica delle palme « della Passione del Signore », nella quale la Chiesa dà inizio alla celebrazione del mistero del suo Signore morto, sepolto e risorto, unisce insieme il trionfo regale di Cristo e l'annunzio della sua gloriosa passione. I due aspetti del mistero pasquale vengano messi in luce nella catechesi e nella celebrazione di questo giorno.
L'ingresso del Signore in Gerusalemme viene commemorato con la solenne processione, con cui i cristiani, imitando le acclamazioni dei fanciulli ebrei, vanno incontro al Signore al canto dell'« Osanna ».
La processione sia una soltanto e fatta prima della Messa con maggiore concorso di popolo, anche nelle ore vespertine sia del sabato che della domenica. I fedeli si raccolgano in una chiesa minore o in altro luogo adatto fuori della chiesa verso la quale la processione è diretta. I fedeli partecipino a questa processione cantando e portando in mano rami di palma o di altri alberi. Il sacerdote e i ministri precedono il popolo, portando anch'essi le palme.
Le palme vengono benedette per essere portate in processione. Conservate religiosamente in casa, richiamano alla mente dei fedeli la vittoria di Cristo celebrata in questo giorno con la processione.
Domenica delle Palme: Passione del Signore, in cui il Signore nostro Gesù Cristo, secondo la profezia di Zaccaria, seduto su di un puledro d'asina, entrò a Gerusalemme, mentre la folla gli veniva incontro con rami di palma nelle mani.
Dai «Discorsi» di sant'Andrea di Creta, vescovo
Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele
Venite, e saliamo insieme sul monte degli Ulivi, e andiamo incontro a Cristo che oggi ritorna da Batania e si avvicina spontaneamente alla venerabile e beata passione, per compiere il mistero della nostra salvezza. Viene di sua spontanea volontà verso Gerusalemme. E' disceso dal cielo, per farci salire con sé lassù «al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare» (Ef 1, 21). Venne non per conquistare la gloria, non nello sfarzo e nella spettacolarità, «Non contenderà», dice, «né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce» (Mt 12, 19). Sarà mansueto e umile, ed entrerà con un vestito dimesso e in condizione di povertà. Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a lui lungo il suo cammino rami d'olivo o di palme, tappeti o altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone. Accogliamo così il Verbo di Dio che si avanza e riceviamo in noi stessi quel Dio che nessun luogo può contenere. Egli, che è la mansuetudine stessa, gode i venire a noi mansueto. Sale, per così dire, sopra il crepuscolo del nostro orgoglio, o meglio entra nell'ombra della nostra infinita bassezza, si fa nostro intimo, diventa uno di noi per sollevarci e ricondurci a sé. Egli salì verso oriente sopra i cieli dei cieli (cfr. Sal 67, 34) cioè al culmine della gloria e del suo trionfo divino, come principio e anticipazione della nostra condizione futura. Tuttavia non abbandona il genere umano perché lo ama, perché vuole sublimare con sé la natura umana, innalzandola dalle bassezze della terra verso la gloria. Stendiamo, dunque, umilmente innanzi a Cristo noi stessi, piuttosto che le tuniche o i rami inanimati e le verdi fronde che rallegrano gli occhi solo per poche ore e sono destinate a perdere, con la linfa, anche il loro verde. Stendiamo noi stessi rivestiti della sua grazia, o meglio, di tutto lui stesso poiché quanti siamo stati battezzati in Cristo, ci siamo rivestiti di Cristo (cfr. Gal 3, 27) e prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese. Per il peccato eravamo prima rossi come scarlatto, poi in virtù del lavacro battesimale della salvezza, siamo arrivati al candore della lana per poter offrire al vincitore della morte non più semplici rami di palma, ma trofei di vittoria. Agitando i rami spirituali dell'anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele».
Nacque a Paterno nei pressi di Fabriano, nelle Marche, all'inizio del sec. XIII. Mandato a studiare a Bologna, fu colpito da una piaga alla gamba che lo rese zoppo per tutta la vita e lo costrinse a fare costantemente uso di un bastone donde trasse l'appellativo. Verso il 1230 entrò nella Congregazione monastica da poco fondata da S. Silvestro. Visse per 60 anni in una piccola cella dell'Eremo di Montefano, distinguendosi per l'amore al nascondimento, per la prudenza e per l'illuminato consiglio. Morì il 24 marzo 1290 e venne tumulato nella cripta della chiesa di S. Benedetto in Fabriano, dove tuttora riposa. Nel 1772 Clemente XIV ne approvò il culto, iscrivendolo nell'albo dei Beati.
A Fabriano nelle Marche, beato Giovanni dal Bastone, sacerdote e monaco, compagno dell'abate san Silvestro.
Dalla «Vita del beato Giovanni dal Bastone, confessore e mirabile eremita», scritta dal Ven. Andrea
Il cammino spirituale di Giovanni
Per il santo uomo l'ascesa alla perfezione non consisteva nel seguire le vie tortuose della stima del mondo, ma nel salire i gradini delle virtù. Aveva circondato il chiostro del cuore con il rigore del silenzio fino a tal punto che a stento apriva la bocca per parlare a meno che non lo richiedesse l'edificazione o il bisogno altrui o fosse interrogato da qualcuno. E ciò per non macchiare la propria vita con qualche parola fuori posto. Era anche prudente e saggio consigliere, conosciuto per il suo buon senso e pieno di grazia presso Dio e presso gli uomini. Non solo il padre Silvestro ricorreva con fiducia al parere dell'uomo di Dio nelle questioni riguardanti l'utilità del monastero e dell'Ordine, ma anche i suoi successori di santa memoria fra Giuseppe e fra Bartolo, uomini timorati di Dio, facevano lo stesso, nella speranza che quanto a lui mancava per natura gli venisse supplito dal cielo per grazia.
Nel trattare con persone secolari che gli chiedevano qualche consiglio, era dignitosamente composto e raccolto; teneva un linguaggio così puro e prudente che assolutamente nulla di riprovevole si poteva cogliere nel suo atteggiamento. Anche i suoi confratelli che lo consultavano su qualche difficoltà o dubbio, se ne partivano da lui quasi sempre pacificati e soddisfatti. Se qualcuno di loro era colpito da qualche avversità o malattia, lo compativa di cuore e gli portava il conforto della sua visita, addolcendo i suoi dolori e le sue amarezze con gli esempi dei santi e con le esortazioni delle Sacre Scritture. Verso i fratelli e gli ospiti che venivano da fuori, se non poteva fare nulla per manifestare la propria carità, dimostrava loro, se non altro, ogni possibile attenzione e offriva loro la sua presenza gioiosa. Molti salivano di proposito al monastero per ricevere edificazione e per vederlo e ritornavano a casa il più delle volte soddisfatti e stimolati dai suoi salutari insegnamenti.
Nel frattempo, dietro comando del superiore, cominciò ad annunziare la parola di Dio prima ai fratelli e poi alle persone che accorrevano al monastero. Ciò che predicava lo confermava efficacemente con le opere e con gli esempi, ad imitazione del nostro Salvatore che cominciò ad agire e ad insegnare. Le sue prediche portavano grande frutto nel cuore degli ascoltatori, e quanto più frequentemente parlava, con tanto maggiore desiderio era ascoltato da tutti, perché le sue azioni non differivano minimamente dalle sue parole.
Spesso i fratelli nella fede, che lo conoscevano meglio, spinti da devozione verso di lui, facevano ressa
sulla porticina della sua cella e cominciavano in qualche modo a pressarlo per farlo uscire perché predicasse o almeno spiegasse loro le vite dei santi. Ed egli, così sollecitato, li accontentava sorridendo dolcemente. Non frammischiava alle sue prediche cose vane o ridicole, ma trattava argomenti che, nella salvaguardia della verità, potessero edificare i cuori degli ascoltatori. (c. 6, ed. Bibliotheca Montisfani 10, Fabriano 1991, pp. 131-133).