Nato a Bordeaux, in Gallia, nel 355, si diede allo studio delle lettere e alle cariche civili. Si sposò ed ebbe un figlio. Animato dal desiderio di condurre vita austera, ricevette il battesimo, rinunziò a tutti i suoi beni ed abbracciò la vita monastica nel 393. Per diverso tempo dimorò a Barcellona nella Spagna, dove venne ordinato sacerdote. Fu quindi a Milano per consultare sant'Ambrogio, quindi a Roma e da ultimo a Nola in Campania, dove venne eletto vescovo. Già devotissimo di san Felice, che aveva subito il martirio in quella città, ne promosse il culto, e con vero affetto di padre cercò di alleviare le miserie dei suoi tempi. Fu poeta fine ed elegante. Morì nel 431.
San Paolino, vescovo, che, ricevuto il battesimo a Bordeaux e lasciato l'incarico di console, da nobilissimo e ricchissimo che era si fece povero e umile per Cristo e, trasferitosi a Nola in Campania presso il sepolcro di san Felice sacerdote per seguire da vicino il suo esempio di vita, condusse vita ascetica con la moglie e i compagni; divenuto vescovo, insigne per cultura e santità, aiutò i pellegrini e soccorse con amore i poveri.
Dalle «Lettere» di san Paolo da Nola, vescovo
Dalle «Lettere» di san Paolo da Nola, vescovo
Per mezzo dello Spirito Santo Dio infonde il suo amore in tutti i suoi servi.
Questa é la vera carità, questo é l'amore perfetto che tu, signor mio, veramente buono, gentile e carissimo, hai dimostrato di avere verso la nostra pochezza. Per mezzo del nostro Giuliano, che tornava da Cartagine, abbiamo ricevuto la tua lettera. Essa ci porta tanta luce della tua santità, da poter dire che noi, più che conoscere, riconosciamo la tua carità. Senza dubbio tale carità deriva da colui che dall'origine del mondo ci ha predestinati a sé. In lui eravamo ancor prima di nascere; perché é lui che ci ha creati e non noi da noi stessi (cfr. Sal 99, 3). E' lui che ha fatto anche quelle cose che devono ancora compiersi nel futuro.
Dalla sua prescienza e dalla sua opera siamo stati formati ad avere una sola volontà e identica fede, o meglio ad avere fede nell'Unità. Siamo stati cementati dalla carità, perché, mediante la rivelazione dello Spirito, ci conoscessimo a vicenda ancor prima di vederci. Rallegriamoci quindi e consoliamoci nel Signore che, pur restando sempre uguale a se stesso, diffonde in ogni luogo il suo amore nei suoi fedeli, per opera dello Spirito Santo. Egli lo ha riservato abbondantemente su tutte le creature, allietando così con il suo impulso vivificante la città di Dio. Tra i cittadini di questa città egli ha voluto ben a ragione collocare te tanto in alto da farti sedere «tra i principi del suo popolo» (Sal 112, 8) sulla cattedra degli apostoli. Così nella tua stessa sorte ha voluto aggregare anche noi, sollevandoci da terra e rialzandoci dalla nostra povertà.
Ma più ancora ci rallegriamo perché il Signore ci ha fatti entrare così intimamente nel tuo cuore, dà farci godere di un tuo singolarissimo affetto. Ciò non può rimanere senza contraccambio adeguato e perciò ti assicuriamo di amarti sinceramente. Ed ora permettetici che ti presentiamo un nostro desiderio. Sappi dunque che questo peccatore non é uscito fuori dalle tenebre e dall'ombra di morte, non ha respinto l'aura vitale e non ha posto mano all'aratro e preso sulle sue spalle la croce di Cristo se non per condurre a termine la sua missione. E proprio per questo abbiamo bisogno delle tue preghiere. Ai tuoi meriti aggiungi anche questo, di alleggerire, con le tue preghiere, i nostri pesi. Il santo che aiuta chi é nella fatica, non oso dire il fratello, sarà esaltato come una grande città.
Abbiamo mandato alla tua santità un pane come simbolo della nostra unità, ma anche dell'unica totale Trinità. Dègnati di mangiarlo in modo che questo pane diventi un'eulogia, cioé un pane benedetto.
(Lett. 3 ad Alipio, 1. 5. 6; CSEL 29, 13-14. 17-18).
Giovanni Fisher nacque nel 1469 a Beverley, e ordinato sacerdote a ventidue anni, fu al pari dell'amico Tommaso More, un uomo di grande cultura. Ma alla vasta erudizione, che fece di lui un vero figlio della sua epoca, unì un grande zelo e una totale abnegazione nell'esercizio dei suoi doveri di vescovo della piccola diocesi di Rochester, alla cui sede era stato eletto nel 1504, congiuntamente all'incarico di cancelliere dell'università di Cambridge. Accettò serenamente la condanna a morte, che venne eseguita il 22 giugno 1535, a un mese dalla sua elevazione alla dignità cardinalizia, con cui Paolo III volle onorarlo per la sua fedeltà e coraggio.
Quindici giorni dopo venne decapitato Tommaso More, reo anch'egli di non aver riconosciuto al re la pretesa supremazia spirituale. Nato a Lontre nel 1477, in gioventù Tommaso avrebbe voluto consacrasi totalmente a Dio in un monastero certosino; intraprese invece la carriera legale, toccando l'apice della notorietà con la nomina a cancelliere d'Inghilterra nel 1529. Padre di quattro figli, mantenne sempre una condotta esemplare. Si alzava alle due del mattino per pregare e studiare fino alle sette, recandosi poi a Messa. Neppure una convocazione del re interrompeva i suoi pii esercizio. Rinchiuso nella Torre di Lontre, in attesa del processo, che si tenne il 11Luglio 1535, scrisse il dialogo del conforto centro le tribolazione, uno dei capolavori della lingua inglese.
Santi Giovanni Fisher, vescovo, e Tommaso More, martiri, che, essendosi opposti al re Enrico VIII nella controversia sul suo divorzio e sul primato del Romano Pontefice, furono rinchiusi nella Torre di Londra in Inghilterra. Giovanni Fisher, vescovo di Rochester, uomo insigne per cultura e dignità di vita, in questo giorno fu decapitato per ordine del re stesso davanti al carcere; Tommaso More, padre di famiglia di vita integerrima e gran cancelliere, per la sua fedeltà alla Chiesa cattolica il 6 luglio si unì al martirio al venerabile presule
Dalla "Lettera" ad Alice Alington di Margaret Roper, figlia di Tomma More, sul colloquio avuto in carcere con il padre.
Mia cara Margherita, io so che la mia cattiveria, meriterei di essere abbandonato da Dio, tuttavia non posso che confidare nella sua misericordiosa bontà, poiché la sua grazia mi ha fortificato sino ad ora e ha dato tanta serenità e gioia al mio cuore, da rendermi del tutto disposto a perdere i beni, la patria e persino la vita, piuttosto che giurare contro la mia coscienza. Egli ha reso il re favorevole verso di me, tanto che finora si è limitato a togliermi solo la libertà. Dirò di più. La grazia di Dio mi ha fatto cosi gran bene e dato tale forza spirituale, da farmi considerare la carcerazione come principale dei benefici elargitimi.
Non posso, perciò dubitare della grazia di Dio. Se egli lo vorrà, potrà mantenere benevolo il re nei miei riguardi, al fine che non mi faccia alcun male. Ma se decide ch'io soffra per i miei peccati, la sua grazia mi darà certo la forza di accettare tutto pazientemente, e forse anche gioiosamente. La sua infinita bontà, per i meriti della sua amarissima passione, farà sì che le mie sofferenze servano a liberarmi dalle pene del purgatorio e anzi a ottenermi la ricompensa desiderata in cielo. Dubitare di lui, mia piccola Margherita, io non posso e non voglio, sebbene mi senta tanto debole. E quand'anche io dovessi sentire paura al punto da esser sopraffatto, allora mi ricorderei di san Pietro, che per la sua poca fede cominciò ad affondare nel lago al primo colpo di vento, e farei come fece lui, invocherei cioè Cristo e lo pregherei di aiutarmi.Senza dubbio allora egli mi porgerebbe la sua santa mano per impedirmi di annegare nel mare tempestoso. Se poi egli dovesse permettere che imiti ancora in peggio san Pietro, nel cedere, giurare e spergiurare (me ne scampi e liberi nostro Signore per la sua amorosissima passione, e piuttosto mi faccia perdere, che vincere a prezzo di tanta bassezza), anche in questo caso non cesserei di confidare nella sua bontà, sicuro che egli porrebbe su di me il suo pietosissimo occhio, come fece con san Pietro, e mi aiuterebbe a rialzarmi e confessare nuovamente la verità, che sento nella mia coscienza. Mi farebbe sentire qui in terra la vergogna e il dolore per il mio peccato. A ogni modo, mia Margherita, io so bene che senza mia colpa egli non permetterà mai che io perisca. Per questo mi rimetto interamente in lui pieno della più forte fiducia. Ma facendo anche l'ipotesi della mia perdizione per i miei peccati, anche allora io servirei a lode della giustizia divina. Ho però ferma fiducia, Margherita, e nutro certa speranza che la tenerissima pietà di Dio salverà la mia povera anima e mi concederà di lodare la sua misericordia. Perciò, mia buona figlia, non turbare mai il tuo cuore per alcunché mi possa accadere in questo mondo. Nulla accade che Dio non voglia, e io sono sicuro che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio.
Giovanni Fisher nacque nel 1469 a Beverley, e ordinato sacerdote a ventidue anni, fu al pari dell'amico Tommaso More, un uomo di grande cultura. Ma alla vasta erudizione, che fece di lui un vero figlio della sua epoca, unì un grande zelo e una totale abnegazione nell'esercizio dei suoi doveri di vescovo della piccola diocesi di Rochester, alla cui sede era stato eletto nel 1504, congiuntamente all'incarico di cancelliere dell'università di Cambridge. Accettò serenamente la condanna a morte, che venne eseguita il 22 giugno 1535, a un mese dalla sua elevazione alla dignità cardinalizia, con cui Paolo III volle onorarlo per la sua fedeltà e coraggio.
Quindici giorni dopo, venne decapitato Tommaso More, reo anch'egli di non aver riconosciuto al re la pretesa supremazia spirituale. Nato a Londra nel 1477, in gioventù Tommaso avrebbe voluto consacrasi totalmente a Dio in un monastero certosino; intraprese invece la carriera legale, toccando l'apice della notorietà con la nomina a cancelliere d'Inghilterra nel 1529. Padre di quattro figli, mantenne sempre una condotta esemplare. Si alzava alle due del mattino per pregare e studiare fino alle sette, recandosi poi a Messa. Neppure una convocazione del re interrompeva i suoi pii esercizi. Rinchiuso nella Torre di Londra, in attesa del processo, che si tenne l'11 Luglio 1535, scrisse il dialogo del conforto contro le tribolazioni, uno dei capolavori della lingua inglese.
Santi Giovanni Fisher, vescovo, e Tommaso More, martiri, che, essendosi opposti al re Enrico VIII nella controversia sul suo divorzio e sul primato del Romano Pontefice, furono rinchiusi nella Torre di Londra in Inghilterra. Giovanni Fisher, vescovo di Rochester, uomo insigne per cultura e dignità di vita, in questo giorno fu decapitato per ordine del re stesso davanti al carcere; Tommaso More, padre di famiglia di vita integerrima e gran cancelliere, per la sua fedeltà alla Chiesa cattolica il 6 luglio si unì nel martirio al venerabile presule.
Dalla «Lettera» di Tommaso More, scritta in carcere alla figlia Margaret Roper.
Mi rimetto interamente a Dio, sperando pienamente in lui.
Mia cara Margherita, io so che, per la mia cattiveria, meriterei di esser abbandonato da Dio, tuttavia non posso che confidare nella sua misericordiosa bontà, poiché la sua grazia mi ha fortificato sino ad ora e ha dato tanta serenità e gioia al mio cuore da rendermi del tutto disposto a perdere i beni, la patria e persino la vita, piuttosto che giurare contro la mia coscienza. Egli ha reso il re favorevole verso di me, tanto che finora si è limitato a togliermi solo la libertà. Dirò di più. La grazia di Dio mi ha fatto così gran bene e dato tale forza spirituale da farmi considerare la carcerazione come il principale dei benefici elargitimi.
Non posso, perciò, dubitare della grazia di Dio. Se egli vorrà, potrà mantenere benevolo il re nei miei riguardi, al fine che non mi faccia alcun male. Ma se decide ch'io soffra per i miei peccati, la sua grazia mi darà certo la forza di accettare tutto pazientemente, e forse anche gioiosamente. La sua infinita bontà, per i meriti della sua amarissima passione, farà sì che le mie sofferenze servano a liberarmi dalle pene del purgatorio e anzi ad ottenermi la ricompensa desiderata in cielo.
Dubitare di lui, mia piccola Margherita, io non posso e non voglio, sebbene mi senta tanto debole. E quand'anche io dovessi sentire paura al punto da essere sopraffatto, allora mi ricorderai di san Pietro, che per la sua poca fede cominciò ad affondare nel lago al primo colpo di vento, e farei come fece lui, invocherei cioè Cristo e lo pregherei di aiutarmi. Senza dubbio allora egli mi porgerebbe la sua santa mano per impedirmi di annegare nel mare tempestoso. Se poi egli dovesse permettere che imiti ancora in peggio san Pietro, nel cedere, giurare e spergiurare (me ne scampi e liberi nostro Signore nella sua amorosissima passione, e piuttosto mi faccia perdere, che vincere a prezzo di tanta bassezza), anche in questo caso non cesserei di confidare nella sua bontà, sicuro che egli porrebbe su di me il suo pietosissimo occhio, come fece con san Pietro, e mi aiuterebbe a rialzarmi e confessare nuovamente la verità, che sento nella mia conoscenza. Mi farebbe sentire qui in terra la vergogna e il dolore per il mio peccato.
Ad ogni modo, mia Margherita, io so bene che senza mia colpa egli non permetterà mai che io perisca. Per questo io mi rimetto interamente in lui pieno della più forte fiducia. Ma facendo anche l'ipotesi della mia perdizione per i miei peccati, anche allora io servirei a lode della giustizia divina. Ho però ferma fiducia, Margherita, e nutro certa speranza che la tenerissima pietà di Dio salverà la mia povera anima e mi concederà di lodare la sua misericordia. Perciò, mia buona figlia, non turbare mai il tuo cuore per alcunché mi possa accadere in questo mondo. Nulla accade che Dio non voglia, ed io sono sicuro che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio.
(Da: Correspondence, ed. by E. F. Rogers, Princeton, 1947, pp. 530-532)