Giubileo della Speranza Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire, Bassano Romano (VT)  
13 - 19 Aprile 2025
Settimana Santa , Colore rosso
Lezionario: Ciclo C, Salterio: sett. 2

Commento alle Letture

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Venerdì 18 aprile 2025

Ci ha amato patendo.

Oggi la Chiesa celebra la Santissima Passione; lo sguardo s’innalza al Crocifisso. C’è bisogno di spazi e di silenzio per contemplare e fare bene la meditazione della Passione in comunità, ma necessita prima di vivere una contemplazione personale, intima, nella propria casa e nel proprio cuore, perché l’anima lo ami e viva intensamente anche quella comunitaria. I dolori inenarrabili del Cristo, l’uomo non potrà mai conoscerli in tutta la sua essenza. Ma la sua meditazione ci aiuterà ad aver maggior conoscenza. Se non si meditano i Santi Dolori, la Santissima Passione, non si conosce davvero Gesù Cristo. Dalla Croce cercavo consolatori; ancor oggi ne sono alla ricerca. Noi, confortando Cristo, ci facciamo angeli che giungono ai tanti crocifissi che, sulla terra, penano e attendono la carezza, il bacio, l’abbraccio. Quanto l’amore aiuta a portare tanto peso, quanta forza dà la Croce! La Chiesa guarda alla Risurrezione e fa bene: essa è il fulcro, il fine ultimo, di cui la Passione porta il frutto. Ma se non c’è accoglienza della Croce, se non c’è meditazione e partecipazione ai dolori, non c’è Risurrezione. La Passione è il prezzo con cui Gesù ha pagato il nostro riscatto. “Passione” perché è l’estremo dell’intensità del sentimento con cui egli ha vissuto il dolore. Ci ha amato patendo. Ci ha riscattati nell’ardore di un dolore estremo. È un onore, un vanto, soffrire con Cristo.


Il racconto della Passione di Gesù Cristo costituisce, anche da punto di vista cronologico, il primo nucleo della predicazione apostolica, il punto fondamentale della proclamazione della fede della Chiesa. Nella liturgia di oggi, la proclamazione della Passione assume una importanza centrale: il valore della parola, come segno sacramentale della presenza attuale del Cristo, prende grande evidenza e polarizza a sé tutta la celebrazione di oggi. Sulla Croce il Cristo realizza la suprema manifestazione del nome di Dio: Agape. Il poema descrive la sofferenza Salvatrice e gloriosa del servo di Jahvé. Il suo dolore è un mistero. Il suo dolore però rivela non il suo proprio peccato – egli è innocente – ma il peccato del popolo. Il servo accetta questo piano di Dio, consapevole che lo condurrà alla morte e ad una sepoltura. Cristo è il servo di Jahvé, è lui che si consegna alla morte per il popolo. La Risurrezione costituisce la sua esaltazione.

La Chiesa oggi non celebra l’Eucaristia, ma invita i fedeli a rivivere nel silenzio adorante e nel modo più intenso possibile il mistero della morte di Cristo, la sua assurda condanna, l’atroce Passione e la sua ignominiosa morte sul patibolo. È così che possiamo trarre la più logica e impegnativa conclusione: noi responsabili in prima persona di quella morte con i nostri peccati, Re e Dio immenso nell’amore! L’adorazione che poi segue nell’altare della riposizione assume per tutti le caratteristiche della doverosa riparazione e della migliore gratitudine. Le chiese spoglie e disadorne ci aiutano a comprendere ulteriormente da una parte la gravità della tragedia che si sta consumando nel mondo e dall’altra l’attesa di un evento risolutivo che già intravediamo nella fede e nella speranza, ed è il mattino di Pasqua.

Lo vediamo come il servo: su di lui pesano le nostre colpe, ma dalla sua umiliazione viene il nostro riscatto. Dalle piaghe di Gesù sono risaniti tutti gli uomini. Oggi è il giorno dell’immensa fiducia: Cristo ha conosciuto la sofferenza, da lui riceviamo misericordia e in lui troviamo grazia. E la imploriamo per tutti gli uomini, nella preghiera universale. Oggi è il giorno della solenne adorazione della Croce: lo strumento del patibolo è diventato il termine dell’adorazione da che vi fu appeso il Salvatore del mondo. Siamo sempre sotto la Croce. Non c’è momento, non c’è situazione dove non entri la Croce a liberare e a salvare. Infatti essa si manifesta in noi ogni giorno, se siamo discepoli fedeli del Signore. Non chiediamogli tanto di scendere dalla Croce, quanto di avere la forza di restarci con lui, nella speranza della Risurrezione.

Apoftegmi - Detti dei Padri

Un anziano che abitava in Egitto diceva sempre: «Non c'è strada più breve che quella dell'umiltà».


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

IN QUALI ORE I FRATELLI DEVONO PRENDERE I PASTI

Dal 14 settembre sino all'inizio della Quaresima il pasto sarà sempre a nona. In Quaresima poi fino a Pasqua sarà a vespro; nel qual caso l'ora dei Vespri sia regolata in modo tale che i fratelli mentre mangiano non abbiano bisogno della lucerna, ma si svolga tutto quando è ancora giorno. Così pure in ogni stagione, l'ora della cena o dell'unica refezione sia regolata in modo che tutto si faccia con la luce del giorno.

Cap.41,6-9.