Siamo esseri viventi con un dono unico: la somiglianza a Dio. Dopo il peccato, Cristo ci ha rinnovati con la redenzione, e lo Spirito Santo ci ha trasformati in creature nuove. Questo nuovo soffio di vita è l’Amore sgorgato dalla croce di Cristo. Grazie a questo, diventiamo figli di Dio, con una nuova dignità e un grande impegno: amare come Dio ci ama. Ecco perché Gesù ci dice: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, pregate per chi vi maltratta”. Umanamente sembra impossibile. Amare chi ci fa del male, perdonare chi ci offende, va contro ogni logica. Ma Gesù premette: “A voi che ascoltate, io dico”. L’ascolto non è passivo, implica accogliere la Parola, viverla e trasformarla in azioni. Come Gesù stesso dice: “Non chi dice ‘Signore, Signore’ entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre”. Anche Pietro aveva dubbi sul perdono. Chiese: “Signore, quante volte dovrò perdonare, fino a sette volte?”. Gesù rispose: “Non fino a sette, ma fino a settanta volte sette”. Con questo, ci insegna che l’amore e il perdono non hanno limiti, perché nascono dal cuore di Dio, dove non ci sono confini. Gesù stesso ci offre l’esempio più grande. Sulla croce dona la vita per noi e perdona i suoi crocifissori. Lo stesso amore e perdono, che Dio ci offre gratuitamente, siamo chiamati a viverli verso gli altri. È un amore che supera la logica umana, perché è dono puro e gratuito. San Paolo ci ricorda: “Se, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora saremo salvati mediante la sua vita”. Anche noi, un tempo nemici, siamo stati amati e perdonati a prezzo del sangue di Cristo. Amare i nemici significa diventare davvero simili a Cristo. È il segno più alto della nostra somiglianza con Dio. Chiediamo al Signore di darci la forza di amare e perdonare, come Lui ci ha amati.
Come pregare? «Alcuni chiesero al padre Macario: "Come dobbiamo pregare?". L'anziano rispose loro: "Non c'è bisogno di dire vane parole, ma di tendere le mani e dire: - Signore, come vuoi e come sai, abbi pietà di me. Quando sopraggiunge una tentazione, basta dire: - Signore, aiutami!. Poiché egli sa cosa è bene per noi e ci fa misericordia".
L'UMILTÀ Il dodicesimo gradino dell'umiltà si sale quando il monaco non solo è umile nel suo cuore, ma anche nell'atteggiamento esteriore dà sempre prova di umiltà a chi lo osserva; e cioè: durante l'Ufficio divino, in chiesa, all'interno del monastero, nell'orto, per via, nei campi, dappertutto insomma, stando seduto o camminando o in piedi, tiene sempre il capo chino e lo sguardo fisso a terra; ritenendosi sempre colpevole per i suoi peccati e i suoi vizi e vedendosi già comparire di fronte al tremendo giudizio di Dio; e ripete continuamente in cuor suo ciò che, con gli occhi fissi a terra, diceva il pubblicano del vangelo: «Signore, non sono degno io peccatore di alzare gli occhi al cielo» (cf. Lc 18,13); e ancora col profeta: «Mi sono curvato e umiliato fino all'estremo» (Sal 37,9 Volg.).