L'autore della Lettera agli Ebrei nella prima lettura continua oggi il suo trattato sul sacerdozio di Cristo. Parla della novità della mediazione sacerdotale di Gesù. Essa si colloca nel contesto della nuova alleanza, quella preannunciata da Geremìa al tempo della crisi dell'esilio. Due sono i punti sui quali fa leva il testo profetico riferito dall'autore della lettera come chiave di lettura della mediazione di Gesù: l'interiorità della legge e il perdono dei peccati. Non basta proclamare all'esterno la volontà di Dio. È l'intimo, il cuore che deve essere modificato. D'altra parte questo non può avvenire senza togliere l'ostacolo alla relazione vitale con Dio: il peccato. Nella missione di Gesù, culminante nella sua autodonazione, nella morte, si realizzano le condizioni della nuova alleanza sognata da Geremia. Infatti, la morte di Gesù è la massima espressione dell'amore, sintesi della volontà di Dio. Egli affronta il suo dramma finale con la fedeltà di Figlio e nella solidarietà radicale con gli uomini fratelli. In tal modo viene tolta la radice del peccato, che è ribellione a Dio e incapacità di rapporti di amore tra gli uomini. Ecco la pericolosità del peccato: il peccato intorpidisce il nostro cuore, annebbia l'intelligenza fino a non sapere chi siamo veramente. Ma in Gesù sperimentiamo il perdono gratuito di Dio. Ora, che Dio mostra il suo volto amorevole, nonostante i nostri peccati, sappiamo chi siamo noi, osserviamo senza paura il nostro volto. Vogliamo vivere con la generosità con cui Dio ci perdona.
Chi è il monaco? E' monaco colui che da tutto è separato e a tutti è armoniosamente unito.
CONVOCAZIONE DEI FRATELLI A CONSIGLIO In ogni cosa poi tutti seguano la Regola come maestra e nessuno ardisca temerariamente allontanarsene. Nessuno in monastero segua le inclinazioni del proprio cuore; né alcuno abbia l'ardire di contendere ostinatamente con il proprio abate dentro o fuori del monastero; chi lo osasse, sia sottoposto alla disciplina regolare. L'abate però, da parte sua, faccia tutto nel timor di Dio e nell'osservanza della Regola, sapendo che di tutti i suoi giudizi dovrà senza dubbio rendere conto a Dio, giustissimo giudice.
Quando poi nel monastero si devono trattare questioni di minore importanza, l'abate si serva soltanto del consiglio degli anziani, poiché sta scritto: «Fa' tutto con il consiglio e dopo non te ne pentirai» (Sir 32,24).