Sarebbe stato davvero facile per Gesù ritorcere contro i suoi accusatori, e con maggiore ragione, l'accusa che essi temerariamente gli rivolgono: "Ti fai dio". È proprio in questo sta l'essenza e la radice del loro e nostro peccato sin da quello commesso in principio dai nostri progenitori. "Sarete come dèi", aveva insinuato loro il maligno in quella prima tentazione e così va ripetendo ancora ogni volta che vuole indurci alla libertà sfrenata per metterci contro Dio e farci poi sperimentare la paura e la nudità. I Giudei invece rivolgono contro il Figlio unigenito del Padre questa accusa. Per questo, a loro giudizio, deve subire la lapidazione perché ai loro orecchi questo suona come una orribile bestemmia. Ne traggono motivo di scandalo e di condanna. Eppure molti, ricordando la testimonianza di Giovanni il Battista e vedendo con cuore semplice le opere che egli andava compiendo, ascoltando con docilità i suoi insegnamenti, credettero in lui. I più duri di cuore sono da sempre quelli che si sentono particolarmente disturbati dalla verità, che si ritengono inattaccabili e depositari del bene, che si sentono invece toccati e feriti nell'orgoglio. Gesù ricorda loro: «Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la Scrittura non può essere annullata), a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio?". Gesù conclude la sua serrata argomentazione: "se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre". È un momento e un argomento conclusivo quello che Gesù enuncia: Egli è vero Dio nell'unione ipostatica con il Padre. Invoca perciò la fede perché solo così può essere compreso, chiede di vedere con quella luce, dono divino, le sue opere per smettere il giudizio e far nascere l'accoglienza amorosa. Anche noi siamo testimoni e destinatari delle opere di Cristo, offriamogli la nostra più intensa gratitudine.
Gregorio disse: «Che la tua opera sia pura per la presenza del Signore e non per l'ostentazione».
QUALE DEVE ESSERE IL GRADO DELLA SCOMUNICA La misura della scomunica o del castigo corporale deve essere proporzionata alla gravità della colpa; e la valutazione di questa dipende esclusivamente dal giudizio dell'abate. Se un fratello comunque si rende colpevole di colpe leggere sia privato della partecipazione alla mensa comune. Per chi viene escluso dalla mensa si usi questa norma: non canti da solo in coro né salmo né antifona né proclami le letture, finché non abbia fatto la soddisfazione; inoltre prenda il pasto da solo dopo la refezione dei fratelli; così, per esempio, se i fratelli mangiano all'ora sesta, egli mangi a nona; se i fratelli a nona, egli a vespro, finché, dopo un'adeguata soddisfazione, non abbia ottenuto il perdono.