La preghiera di Gesù, ogni sua preghiera, ogni sua parola assumono sempre un valore veramente universale. I suoi occhi sono rivolti al cielo e si riversano sui suoi discepoli. Per loro e su di loro sta particolarmente pregando, ma poi aggiunge: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato». Gesù sta affidando al Padre celeste il futuro della sua Chiesa e di tutta la nostra umanità. Invoca ancora l'unità perfetta, la stessa che Egli sperimenta con il Padre suo. La implora come dono e come testimonianza: la carità, l'unità della sua Chiesa e dei suoi seguaci dovranno essere uno dei motivi principali per indurre alla conversione e inculcare la vera fonte nell'unico Signore. I veri discepoli sono certi dell'amore di Dio Padre, godono di tutti i benefici della salvezza, sono nella gioia vera e diventano così fermento, lievito, luce e sale della terra. Quando questi elementi mancano o si offuscano la fede langue e la verità non può risplendere in tutto il suo fulgore. Cristo Gesù nella sua preghiera - testamento, ci appare come sommo ed eterno sacerdote, come Colui che ci ha fatto conoscere il volto stesso di Dio, ci ha resi certi del suo infinito amore misericordioso per tutti noi. In quell'Amore, in quella Verità, in quell'eterno sacrificio noi dobbiamo fondare l'unità. Per questo continuamente ripetiamo sui nostri altari quel dono eterno, sgorgato dal costato di Cristo come effluvio di grazia, come energia coesiva, germe di sincera fraternità. Attingiamo spesso da quella fonte per essere noi il tramite puro della vera luce.
L'Abba Hor disse al suo discepolo: Bada di non portare mai in questa cella le parole di un altro.
NORME PER L'ACCETTAZIONE DEI FRATELLI Allora se, dopo matura riflessione, promette di osservare tutto e di obbedire a ogni comando che riceverà, sia accolto nella comunità, ben sapendo che anche l'autorità della Regola stabilisce che da quel momento non gli è più lecito uscire dal monastero, né scuotere il collo dal giogo della Regola che in sì lungo periodo di riflessione era libero di rifiutare o di accettare.