Il brano evangelico di oggi è costituito da una serie di sentenze intorno al valore e all'osservanza della legge. "Non pensate che io sia venuto ad abolire". Con tale annuncio di stile profetico, circa il valore permanente della Legge in tutte le sue parti, - perfino "un iota", elemento più piccolo dell'alfabeto ebraico, non potrà essere cambiato -, il Signore dichiara che tutto sarà conservato. Addirittura la durata perenne della legge è stabilita mediante due riferimenti temporali: "finché non siano passati il cielo e la terra... tutto si compia". Il grado di partecipazione al Regno, "chi li trasgredirà... chi li osserverà", è rispondente alla capacità di assolvere a quei debiti che solo l'amore conosce. Non si tratta di una osservanza strettamente legale. Il valore di una persona, la magnanimità del suo spirito, è "fare e insegnare" ciò che il suo cuore le suggerisce. C'è da notare che in tutto il testo traspare un accento polemico. Le ipotesi possono essere tante, ma quasi tutte riconducibili al vissuto e al cammino di fede della comunità. Quello che predomina è che l'attuale testo evangelico offre la presa di posizione di Gesù di fronte alla Legge, come è stata conservata nella tradizione cristiana. In questa prospettiva profetica si deve intendere anche l'affermazione: "Sono venuto per dare compimento". Nella missione storica di Gesù, nelle sue parole e gesti, si ha la piena rivelazione e attuazione della Legge. In altri termini la Legge, gli scritti profetici e sapienziali, si compiono ora in Gesù, interprete e promulgatore definitivo della volontà di Dio. Gesù è venuto a liberarci dalla schiavitù della Legge ma non abolendola. La legge, dice San Paolo, è come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo e "quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo". Ora egli ci rende simili a sé per condurci al Padre.
Il padre Poemen disse a chi voleva vivere santamente: "Non misurare te stesso, aderisci piuttosto a chi sa vivere bene".
L'ORDINE DELLA COMUNITÀ I più giovani pertanto rispettino i più anziani; gli anziani amino i più giovani. Nello stesso modo di chiamarsi nessuno si permetta di rivolgersi all'altro col semplice nome, ma i più anziani chiamino i più giovani con l'appellativo di «fratelli» e i più giovani chiamino gli anziani «nonni», che significa «reverendo padre». L'abate poi, giacché sappiamo per fede che tiene le veci di Cristo, sia chiamato «signore» e «abate», non per sua pretesa ma per onore e amore di Cristo. Ma egli rifletta sulla sua dignità e si dimostri degno di tale onore.