“Gesù disse questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti”. Infatti ci accompagna sempre questa tentazione di pensare che il fatto di credere ci renda migliori degli altri. Ecco il nostro guai, l’idea del merito. Nel vangelo di oggi invece, Gesù ci dice che umanamente non meritiamo nulla, tutto è grazia. Dio ci ama come siamo! La fede serve a riscoprire quanto siamo anche umani e quante nostre umane fragilità portiamo addosso. Ecco perché non va bene quando diciamo pregando: “Grazie perché mi hai dato la vita, grazie perché mi hai dato la fede, grazie perché cerco di seguire ciò che mi hai domandato, grazie perché mi sforzo a non trasgredire, ma grazie soprattutto perché non faccio schifo come quello lì”. Ed è questo il significato profondo della parabola raccontata da Gesù nella pericope di oggi: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore”. È ovvio che tra i due è il secondo che si trova nella logica giusta, quella dell’umiltà, la logica di chi si sente bisognoso del perdono, della misericordia, dell’amore. La quaresima è tempo di fermarci un po’a riflettere sulla vita… Sull’esempio del pubblicano impariamo a toccare e riconoscere nostri propri limiti e affidarci alla misericordia di Dio. “Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”. “La memoria delle nostre cadute dovrebbe toglierci ogni residuo di presunzione, superbia e vanagloria”, disse un saggio.
L'abate Amun disse: «Sopporta ogni uomo come Dio ti sopporta».
COME L'ABATE DEVE ESSERE PREMUROSO VERSO GLI SCOMUNICATI L'abate dunque deve avere la più grande premura e preoccupazione con ogni accortezza e diligenza per non perdere nessuna delle pecore a lui affidate. Sappia che si è assunta la cura delle anime inferme, non il dominio su quelle sane; e tema la minaccia del profeta per bocca del quale il Signore dice: «Ciò che vedevate grasso, lo prendevate; ciò che invece era debole, lo gettavate via» (Ez 34,3-4). E imiti il gesto di tenerezza del buon pastore il quale, lasciate sui monti le novantanove pecore, andò alla ricerca di quell'unica che si era smarrita; ed ebbe tanta compassione della sua debolezza che si degnò di caricarsela sulle sue sacre spalle e così riportarla al gregge (cf. Lc 15,4-5).