Nel vangelo di oggi non si tratta di un racconto di chiamata, ma di un'autorivelazione di Gesù. Ciò che attira i quattro discepoli a lasciare tutto e seguire Gesù non è l'insegnamento ma piuttosto l'esperienza forte della pesca miracolosa. Sul finire di una notte deludente, Gesù si avvicina quasi per consolarli. Ma poi: "Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano". Per parlare del miracolo, per primo ci deve essere un problema, come appare in questo brano. Il problema c'è, una notte vuota cioè con le reti vuote. Ma poi c'è l'intervento spontaneo di Gesù per provvederne. Infine c'è la soluzione inaspettata e soprattutto sovrabbondante. Che lezione di vita da parte di Gesù, non li rimprovera nulla, non prende in giro la loro maestria di bravi pescatori. Con ciò capiamo forse anche che Cristo non ci colpevolizza per infruttuosi vuoti che produciamo, ma ci chiede di prendere il largo, di andare oltre le nostre sconfitte, le nostre delusioni... A volte perdiamo tempo a lamentarci, cercando pure autogiustificazioni per le nostre miserie invece di ascoltare la Sua voce che ci dice di riprovare. Solo sposando l'atteggiamento di Simon Pietro quello dell'obbedienza, possiamo vivere l'esperienza del miracolo nella nostra vita. E così anche diamo senso alle notti vuote della nostra vita. Non lasciamoci schiacciare dai nostri fallimenti, nostre delusioni... piangersi addosso chiaramente non è mai una soluzione e quindi impariamo con maggiore intensità ad ascoltare Colui che può aiutarci a dare il massimo senso alla nostra vita. Il grande lavoro ci spetta. Quindi: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca».
Io non temo più Dio, lo amo. Perché l'amore caccia il timore.
L'OBBEDIENZA DEI DISCEPOLI Facciamo quel che dice il profeta: «Ho detto: veglierò sulla mia condotta per non peccare con la mia lingua; ho posto un freno alla mia bocca mentre l'empio mi sta dinanzi; sono rimasto in silenzio, mi sono umiliato e ho taciuto anche di cose buone» (Sal 38,2-3 Volg.). Qui il profeta ci mostra che, se per amore del silenzio dobbiamo alle volte astenerci dai discorsi buoni, tanto più per la pena del peccato, dobbiamo evitare quelli cattivi. Pertanto, per custodire la gravità del silenzio, ai discepoli perfetti si conceda raramente il permesso di parlare, fosse pure di argomenti buoni, santi ed edificanti; poiché sta scritto: «Nel molto parlare non eviterai il peccato» (Pr 10,19); e altrove: «Morte e vita sono in potere della lingua» (Pr 18,21).