Da questa accusa dei farisei e degli scribi, Gesù fa sgorgare una delle pagine più belle e dense del Vangelo. Ci illumina sulle realtà più vere del nostro essere e del nostro vivere: coniuga la realtà del nostro peccato e l’amore misericordioso del Padre. Un figlio, uno di noi, richiede la parte di patrimonio che gli spetta: vuole una libertà senza limiti, la stessa che hanno reclamato i nostri progenitori mangiando il frutto proibito, la stessa che reclamiamo noi con il peccato. Il buon Dio che ci ha creati liberi mai ci nega la libertà anche quando poi diventa una fuga sconsiderata, anche quando usciamo dall’ambito dell’amore, quando poi sperimentiamo la nudità, la sordità e la paura. Avviene una umiliante trasformazione: da figli amati dal Padre ci ritroviamo a fare i mandriani dei porci! Menomale che poi dal profondo del male insorge spesso quella irrefrenabile nostalgia del Bene perduto, della Casa paterna, del Padre buono. Si passa dalla fame, dal ricordo dell’abbondanza dei veri beni perduti, dall’urgenza di saziarsi con le carrube, al primo accenno di pentimento: “Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Dopo tanto sperpero, egli spera di rialzarsi, di essere accolto in casa come uno schiavo, come uno dei salariati; sa che essi hanno pane in abbondanza, egli invece muore di fame! Il male non sazia mai! Così ci viene descritto il peccato: una deprimente e rovinosa perdita del bene. Il Padre celeste è sempre in ascolto e in trepida attesa di una voce e di un ritorno del figlio: Egli ascolta il gemito del povero e manda il suo Figlio a cercare la pecora smarrita. Sarà proprio Lui, la Via a indicare il percorso del ritorno; sarà Lui, Cristo Gesù, il pastore buono, a farsene carico, sarà Lui, Luce del mondo, ad aprirgli occhi e cuore per vedere il Padre che quando era ancora lontano, lo vide, ne ha compassione, gli corre incontro, gli si getta al collo e lo bacia. Il fuggitivo ritrova il Padre, la Casa, il fratello, la mensa, la festa, la risurrezione, la pasqua. È commovente questa scena: non è soltanto una splendida immagine e una radiosa testimonianza di amore, è quello che ognuno di noi vive e sperimenta quando dopo il peccato gode l’abbraccio del perdono. Meditando questa misericordia e la fonte donde è sgorgata soprattutto in questa quaresima, siamo mossi alla più intensa gratitudine; il perdono scaturisce dalla croce, dal sangue di Cristo, dalla sua passione, dalla sua Pasqua.
Proposito: la confessione sacramentale è la tua Pasqua; vai, Gesù ti attende!
Si domandò al nostro santo padre Atanasio, l'arcivescovo di Alessandria: «In qual modo il Figlio è uguale al Padre?». Rispose: «Come la vista nei due occhi».
LE COLPE PIÙ GRAVI Il fratello invece che si macchia di colpe più gravi venga escluso sia dalla mensa che dall'oratorio. Nessuno dei fratelli abbia alcun rapporto con lui, né gli rivolga la parola. Egli se ne stia solo al lavoro che gli è stato assegnato mantenendosi nell'afflizione della penitenza, memore di quella terribile sentenza dell'apostolo che dice: «Un tal individuo sia consegnato alla morte della carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore» (1 Cor 5,5). Prenda il cibo da solo, nella misura e nell'ora che l'abate giudicherà più opportuna per lui. Nessuno incontrandolo lo benedica e non sia benedetto neppure il cibo che gli viene dato.