Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà». Un annuncio sicuramente inatteso, sconvolgente, incredibile per gli apostoli, ammirati del loro Maestro, testimoni dei suoi insegnamenti e dei suoi prodigi. Forse ancor più li ha sconvolti, più li ha spaventati quel “Noi”, quell’implicito coinvolgimento, cha ancora ingenera paura e defezioni. Tutto da Gesù, dalle sue parole, dai fatti esprimeva signoria e novità. Aveva dimostrato di esserne Lui il padrone e Signore: aveva richiamato in vita chi già si era addormentato nella morte. Come credere ora alla sua morte? Non ci sorprende che gli si avvicini la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e prostrati chiedano: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Questa buona mamma vedeva per i suoi due figli un posto di prestigio in un regno umano, la stessa cosa pensano gli apostoli. infatti: “Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli”. Per accedere al Regno che Gesù sta instaurando occorre bere un calice in comunione con Lui, subire il martirio della croce, immergersi nella più profonda umiltà. Gesù dice loro e ripete a noi: “Chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che è venuto per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Gesù ci sta dicendo che le vere “ascese” passano attraverso la via della Croce, attraverso la via degli umili che cancellano con la vita la superbia del peccato. Inevitabilmente un tratto più o meno lungo, più o meno arduo tutti siamo chiamati a percorrerlo. È la quaresima di questo tempo, è quella più lunga che ci impegna fino all’approdo, alla Pasqua del 21 Aprile e a quella della nostra fine nel tempo.
Il proposito del giorno: Oggi chiederò ripetutamente alla Vergine Madre la virtù dell’umiltà.
L'abate Iperechio ha detto: «Abbi sempre nello spirito il Regno dei Cieli, e presto l'avrai in eredità».
COME DEVONO DORMIRE I MONACI Ciascuno dorma in un letto a sé. L'arredamento del letto lo ricevano ognuno secondo il grado di fervore di vita monastica, a giudizio dell'abate. Se sarà possibile, dormano tutti in uno stesso locale; se invece il numero rilevante non lo permette, dormano a gruppi di dieci o di venti insieme ai loro decani che vigilino su di loro. Nel dormitorio rimanga sempre accesa una lucerna fino al mattino. I monaci dormano vestiti e con i fianchi cinti di semplici corde o funicelle, in modo da non avere a lato i propri coltelli, perché non abbiano a ferirsi inavvertitamente durante il sonno, e in modo da essere sempre pronti, cosicché appena dato il segnale si alzino senza indugio e si affrettino a prevenirsi l'un l'altro all'Opus Dei, sempre però in tutta gravità e modestia. I fratelli più giovani non abbiano i letti l'uno vicino all'altro, ma alternati con quelli degli anziani. Quando poi si alzano per l'Opus Dei si esortino a vicenda delicatamente, per togliere ogni scusa ai sonnolenti.