Il contrasto è enorme. I filosofi direbbero che ci troviamo davanti ad una figura retorica denominata ossimoro. La morte dona la vita! Questa affermazione è, appunto, un ossimoro. Ieri, giorno di Natale, abbiamo avuto il presepe del bambino appena nato con il canto degli angeli e la visita dei pastori. Oggi è il sangue di Stefano, lapidato a morte, perché ebbe il coraggio di credere nella promessa espressa nella semplicità del presepe. Stefano criticò l'interpretazione fondamentalistica della Legge di Dio ed il monopolio del Tempio. Per questo lo uccisero. Ieri è nato il Salvatore, oggi nasce alla luce della vera vita il primo dei testimoni del Maestro. Questo apparente stridore, questo calo di tono, dalla tenerezza del bambino al sangue che esce dalle membra fratturate del primo diacono, questa provocazione, in realtà ci è salutare, ci mette davanti alla realtà. Accogliere la novità della presenza di Dio può costare fatica, può provocare reazione. Oggi Stefano ci ricorda i 28 milioni di cristiani massacrati nel trascorso ex-luminoso ventesimo secolo, ci dice che far nascere Cristo può significare subire violenza, presa in giro, sguardo compassionevole. Nella prima lettura vediamo che nella comunità cristiana la morte di Stefano ha un particolare significato. Mentre nella mentalità ebraica corrente, e quindi anche nella comunità cristiana, il malvagio viene punito (episodio di Ananìa e Saffìra: Atti 5; la morte di Erode: Atti 12), qui si parla della morte di Stefano come della fine di una persona buona. E il tema ritorna ancora negli Atti quando viene ricordata la morte di Giacomo, fratello di Giovanni (12,2). Questi episodi di fatica e di persecuzione maturano una feconda riflessione sul significato della morte di Gesù: il giusto maledetto. Muore in croce ed è innalzato alla destra di Dio. Il salmo 30 è stato pregato da Gesù morente. Le certezze di fondo che emergono dalla preghiera del povero del Signore, sono le certezze del Figlio che «ha visto il Padre», e ne conosce i disegni di amore infinito. Anche noi possiamo recitare questo salmo, affidando le nostre angustie a quelle della Chiesa intera e così vivere la testimonianza cristiana con la consapevolezza di ricevere già la caparra della vita eterna.
Disse: "Come si dissipa un tesoro scoperto, così qualsiasi virtù, quando è resa notoria e manifesta, svanisce.
NESSUNO ARDISCA ARBITRARIAMENTE PERCUOTERE O SCOMUNICARE UN ALTRO Si eviti nel monastero ogni occasione di presunzione. Perciò ordiniamo e stabiliamo che nessuno può scomunicare qualcuno dei fratelli o percuoterlo, se non ha ricevuto l'autorizzazione dall'abate. I colpevoli siano ripresi alla presenza di tutti, perché anche gli altri ne abbiano timore (1 Tm 5,20). Quanto ai fanciulli fino all'età di quindici anni, sia cura e impegno di tutti il tenerli sotto disciplina; ma anche qui con grande moderazione e buon senso. Se qualcuno, senza ordine dell'abate, ardisce arrogarsi in qualche modo questo potere contro i fratelli già adulti, oppure infierisce senza discrezione sui fanciulli, sia sottoposto alla disciplina regolare, poiché sta scritto: «Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te» (cf. Tb 4,16; Mt 7,12).