Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire, Bassano Romano (VT)  
26 Novembre - 02 Dicembre 2017
Tempo Ordinario XXXIV, Colore bianco
Lezionario: Ciclo A | Anno I, Salterio: sett. 2

Commento alle Letture

Lunedì 27 novembre 2017

Abbiamo lasciato tutto; che cosa dunque ne otterremo?

L'uomo di Dio, Silvestro, in contemplazione.Oggi, trasferita da ieri a causa dell'impedimento liturgico dalla solennità di Cristo Re, è la solennità del nostro fondatore San Silvestro, da non confondere con il Santo Papa omonimo del 31 Dicembre. Il calendario universale si limita a farne solo la memoria. Per noi suoi monaci è la festa grande, è la festa del «Padre» e fondatore del nostro Ordine Benedettino Silvestrino. La vita del nostro santo può essere ben definita e sintetizzata in un continuo e docile ascolto della Parola di Dio, delle divine ispirazioni e l'umile e fervente adesione ad esse. Possiamo dire che il primo ascolto lo ha prestato in Osimo, alla buona mamma Bianca, dalla quale ha appreso gli elementi essenziali della vita cristiana; fra le braccia materne ha imparato a dare il primato a Dio e mettere in second'ordine le cose del mondo. Questa convinzione riemergerà tante volte nella sua vita e sarà il motivo conduttore delle sua scelte. Inviato a Bologna, per diventare un giurista, si accorge che gli studi della legge «non lo accendono per le cose di Dio» - come ci dice il suo primo biografo - e allora subito la determinazione di lasciare quegli studi per passare a quelli della teologia a Padova. Incorre così nelle ire del padre, che vede deluse le sue aspettative e i sogni di grandezza umana che aveva vagheggiato per il figlio. Silvestro riafferma il primato assoluto di Dio nella sua vita e resiste per diversi anni alle sollecitazioni e minacce paterne. Finalmente, libero di seguire la propria vocazione, diventa canonico della cattedrale di Osimo, sua città nativa; è stimato ed apprezzato da tutti per la sua scienza e la sua santità, egli però, sempre attento alla voce di Dio, sente di dover assecondare ancora una volta la sua chiamata. Lascia tutto e tutti e si cala nella completa solitudine come eremita in una grotta negli aspri anfratti della Gola della Rossa, non distante dalle famose grotte di Frasassi. Anche l'esperienza eremitica durerà poco per Silvestro. Scoperto da alcuni cacciatori, inizia un vero e proprio pellegrinaggio verso la grotta del santo e alcuni desiderano imitarlo in quella scelta così radicale e porsi sotto la sua guida spirituale. Si ritrova così prima a dover essere padre e guida di altri e poi a dover fondare un nuovo Ordine, ispirato alla Regola benedettina. Attento ascoltatore quindi il nostro Santo, ma anche ben alimentato dalla grazia divina: il segreto della sua santità e del suo eroismo è raffigurato nella immagine più classica che possediamo di lui: il santo riceve la santa Eucaristia per le mani della Vergine Madre, fatto unico nella storia dei santi. Molti fedeli lo invocano, alcuni hanno sperimentato una speciale efficacia, miracoli che il Signore, per le mani dei santi, continua ad operare anche oggi. Così, l'Ordine da lui istituito nel lontano milleduecento, dura interrottamente fino ai giorni nostri e si sviluppa nel mondo. Solo ultimamente in Africa e in lontane Filippine, dove, proprio domenica scorsa è stato ordinato sacerdote il primo monaco benedettino silvestrino di quella nazione. San Silvestro Abate prega per noi.


LETTURE PROPRIE DI SAN SILVESTRO:
1Reg 19, 4-9.11-15; Ps. 14; Gal. 2,19-20; Mt 19,27-29

Oggi, trasferita da ieri a causa dell'impedimento liturgico dalla solennità di Cristo Re, è la solennità del nostro fondatore San Silvestro, da non confondere con il Santo Papa omonimo del 31 Dicembre.
Ci dice l'Apostolo nel vangelo: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?». Pietro non chiede un premio a Gesù; gli basta stare con il Maestro, ha già rinunciato a tutto, spontaneamente e non chiede un riconoscimento pubblico per questo. I discepoli, dopo il commento di Gesù all'episodio del giovane ricco pongono la questione della salvezza. Pietro, allora vuol fare sue le parole di Gesù. Non a tutti Gesù chiede di seguirlo - vedi Zaccheo che trova la salvezza nella sua casa -, il giovane ricco però ha rifiutato di seguirlo. Ciò rende evidente il motivo ultimo della sequela: la salvezza; quella stessa che si è meritata Zaccheo. Anche la domanda di Pietro allora si pone proprio su questo livello e su questo livello si pone Gesù. Non si parla delle realtà terrene, dei beni materiali ma di una partecipazione alla vita divina. La sequela di Cristo partecipa già alla sua vita, il desiderio di Pietro e unirsi ancora più profondamente con il suo Maestro, con il suo Signore. Ecco cosa chiede a Gesù, e Lui gli risponde come ottenere ciò, come poter scrivere il nome nei cieli. Parla di una nuova creazione, perché in Cristo noi rinasciamo alla speranza nuova, noi viviamo di vita nuova, siamo partecipi ad un diverso destino. Il sedersi con Gesù sul trono dei tempi ultimi è proprio l'indicazione di una nuova vita, nella sua gloria finale. La rinuncia per il Regno dei Cieli è proprio questa: la sequela più prossima a Cristo per partecipare al suo Mistero, per intessere con Lui il dialogo che avrà come risultato il telo della vita eterna. La vocazione, la chiamata è allora il farci partecipi della salvezza che Gesù ci ha promesso con la sua Morte e Resurrezione! Il bene eterno è proprio, quindi rappresentato dalla salvezza che è Gesù che entra nella nostra casa e la purìfica, è la sequela, è il discepolato per la vita eterna.

Apoftegmi - Detti dei Padri

Raccontava del padre Dioscuro, che mangiava pane d'orzo e farina di lenticchie. Ogni anno si proponeva le pratiche di una nuova disciplina. Diceva: "Non avrò incontri con nessuno quest'anno", oppure: "non parlerò", oppure: "Non mangerò nulla di cotto", o ancora: "non mangerò frutta e verdura". Faceva così tutte le pratiche possibili, non faceva in tempo a compierne una che ne inizia un'altra. E ciò avveniva ogni anno.


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

I FIGLI DEI NOBILI E DEI POVERI

Se per caso un nobile vuole offrire il proprio figlio a Dio nel monastero e il fanciullo è ancora in tenera età, i genitori scrivano la carta di petizione, di cui abbiamo parlato sopra; e insieme alle offerte della Messa avvolgano nella tovaglia dell'altare la stessa petizione e la mano del fanciullo; e così lo offrano.

Cap.59,1-2.