Quanto ci occupa, ci preoccupa e talvolta ci spaventa, il tempo! Ha un ritmo inarrestabile che ci conduce alla fine; crea così distacchi dolorosi ed inevitabili perdite. È in vista di ciò che ne percepiamo meglio il valore, ma sappiamo che spesso ci sfugge, ci ingoia e ci affligge. Nella visione di Dio "Mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte". È evidente che presso Dio il calcolo del tempo viene valutato con parametri diversi dai nostri. Per questo gli apostoli non comprendono le parole di Gesù quando dice loro: "Ancora un poco e non mi vedrete; un po' ancora e mi vedrete". «Che cos'è mai questo "un poco" di cui parla? Non comprendiamo quello che vuole dire». È una cronologia davvero difficile da comprendere, anche perché non è solo tempo quello di cui parla Gesù, ma piuttosto di eventi nuovi, di situazioni nuove che consentiranno di vederlo. Quel "poco" riguarda la fede dei discepoli e la luce dello Spirito Santo, le due lampade che splenderanno nei loro cuori e consentiranno di vederlo realmente. Solo allora la tristezza si cambierà in gioia. Tutti noi siamo nell'attesa di vedere. Il velo che ci offusca è ancora determinato dalla pochezza della nostra fede nel risorto e dalla non piena accoglienza dello Spirito. Per questo il "poco" che abbiamo ancora da vivere e il "poco" che ci separa dalla meta è spesso cosparso di pianto e di tristezza. Voglia Dio che sia il desiderio di Lui e l'essere incapaci di una risposta adeguata al suo infinito amore a renderci tristi e a far sgorgare il nostro pianto. Tutti noi sappiamo come colmare quel "poco" e sconfiggere definitivamente la sensazione di un distacco doloroso da Cristo: è la nostra comunione con noi, è la nostra vita modellata al suo Vangelo, è la nostra preghiera che ce lo rende vivo, presente e partecipe della nostra storia.
L'Abba Hor disse al suo discepolo: Bada di non portare mai in questa cella le parole di un altro.
NORME PER L'ACCETTAZIONE DEI FRATELLI Allora se, dopo matura riflessione, promette di osservare tutto e di obbedire a ogni comando che riceverà, sia accolto nella comunità, ben sapendo che anche l'autorità della Regola stabilisce che da quel momento non gli è più lecito uscire dal monastero, né scuotere il collo dal giogo della Regola che in sì lungo periodo di riflessione era libero di rifiutare o di accettare.