La prima parte di questo vangelo la si comprende bene, è il secondo dei tre annunzi della passione, sappiamo la profondità teologica che questi hanno nei sinottici; ma la seconda parte, quella del tributo e della moneta nella bocca del pesce ci è difficile afferrarla, stentiamo ad immaginarci una storia, che sembra uscita da un libro di fiabe. I commenti che si trovano su tale pericope sono tutti improntati a rapporti cristiano e stato, chiesa e società, pagare o meno le tasse non provocando scandalo, all'essere, insomma, buoni cristiani e bravi cittadini. Cose queste che hanno una loro bontà e che pur giuste, non mettono tuttavia in evidenza il fatto che Gesù qui sta nuovamente proclamando la sua divinità. Le applicazioni pratiche non dovrebbero mai far perdere di vista che i vangeli sono stati scritti non come una istruzione morale ma come un'opera catechética atta a far comprendere il fondamento della fede, il quale risiede nella proclamazione del Cristo vero Figlio di Dio, uguale al Padre nella sostanza, e che è morto ed è risorto. Tale realtà, al tempo in cui l'evangelista scrive aveva trovato il suo compimento e la sua pur breve tradizione di allora cercava di metterla in risalto. Allora, ciò che deve spiccare è il breve discorso di Gesù e non certo la conclusione, che pur avendo un suo valore didattico, non ha certamente la portata delle parole di Cristo, che si proclama, Figlio di Dio e uguale al Padre. Il messaggio del vangelo era per loro ma vale anche per noi. Chiediamo perché siamo capaci sempre di riconoscere Gesù Figlio di Dio e fratello nostro.
Un fratello ha detto ad un anziano: «Io non vedo lotte nel mio cuore». L'anziano gli rispose: «Tu sei un edificio aperto da tutti i lati. Chiunque entra da te e ne esce a proprio piacimento. E tu, tu non sai ciò che accade. Se tu avessi una porta, se tu la chiudessi ed impedissi ai cattivi pensieri di entrare, allora li vedresti fermi all'esterno e combattere contro di te».
L'OBBEDIENZA DEI DISCEPOLI E difatti parlare e insegnare è compito del maestro, tacere e ascoltare è dovere del discepolo. Quindi, se si deve chiedere qualcosa al superiore, lo si faccia con tutta umiltà e sommo rispetto, in modo da non parlare più di quanto sia conveniente. Quanto poi alle volgarità, alle parole inutili o alle buffonerie, le escludiamo nel modo più assoluto da tutto l'ambito del monastero e non permettiamo che il discepolo apra la bocca a tali discorsi.