Prima i rami d'ulivo, i mantelli stesi a terra a mo' di tappeti, «l'Osanna al Figlio di Davide» e poi... la condanna il «crocifìggilo». Vengono denunciate così palesemente, le tremende contraddizioni dei comportamenti umani: un effimero trionfo tributato a Cristo riconosciuto Figlio di Davide, Re e Signore e poi, forse le stesse voci che l'osannano, gridano perché sia crocifisso e fatto tacere per sempre. Comprendiamo così il significato recòndito delle nostre peggiori passioni e gli effetti devastanti di una miopìa spirituale, che oscura il bene e ci immerge in pensieri e in trame di morte. Fa sempre piacere poter acclamare qualcuno da cui attendiamo soluzioni facili ed immediate ai nostri più pressanti problemi. Gesù che aveva rifiutato di essere acclamato Re, dopo la moltiplicazione dei pani, che dirà a Pietro, che tenta di difenderlo con la spada, il mio Regno non è di questo mondo, oggi acconsente di entrare trionfalmente a Gerusalemme, la città santa, per far comprendere che, prima di essere vittima degli uomini, egli, come vero Re, va incontro liberamente alla passione e alla morte. La sua passione è sì una terribile trama, ordita dai suoi nemici e causata dai nostri peccati, ma innanzitutto è un disegno divino, una manifestazione palese dell'amore misericordioso del Padre, una esigenza della giustizia divina, una docile ed umile accettazione da parte di Cristo Gesù. Ecco perché accetta di essere acclamato re: è un altro modo per preannunciare la sua gloriosa risurrezione, il suo trionfo sulla morte. Il nostro Osanna quindi lo rivolgiamo a colui che già contempliamo nella fede come nostro vero ed unico Re e Signore, come redentore nostro e come colui che da trionfatore ci precede nella gloria. Le nostre acclamazioni non cesseranno perciò in questa domenica, ma diventeranno il nostro perenne rendimento di grazie, la nostra lode senza fine, che esploderanno in un gioioso Alleluia pasquale.
L'abate Iperechio ha detto: «Abbi sempre nello spirito il Regno dei Cieli, e presto l'avrai in eredità».
COME DEVONO DORMIRE I MONACI Ciascuno dorma in un letto a sé. L'arredamento del letto lo ricevano ognuno secondo il grado di fervore di vita monastica, a giudizio dell'abate. Se sarà possibile, dormano tutti in uno stesso locale; se invece il numero rilevante non lo permette, dormano a gruppi di dieci o di venti insieme ai loro decani che vigilino su di loro. Nel dormitorio rimanga sempre accesa una lucerna fino al mattino. I monaci dormano vestiti e con i fianchi cinti di semplici corde o funicelle, in modo da non avere a lato i propri coltelli, perché non abbiano a ferirsi inavvertitamente durante il sonno, e in modo da essere sempre pronti, cosicché appena dato il segnale si alzino senza indugio e si affrettino a prevenirsi l'un l'altro all'Opus Dei, sempre però in tutta gravità e modestia. I fratelli più giovani non abbiano i letti l'uno vicino all'altro, ma alternati con quelli degli anziani. Quando poi si alzano per l'Opus Dei si esortino a vicenda delicatamente, per togliere ogni scusa ai sonnolenti.