Quello che oggi il vangelo ci narra è un bel momento di intimità, tra Gesù e gli Apostoli, rèduci dalle loro fatiche missionarie. Hanno da raccontare le loro gioie e le loro delusioni, tutto ciò che hanno detto e fatto, ma forse quel che appare più evidente agli occhi del loro maestro è la fatica e la stanchezza dei Dodici. Le parole di Gesù hanno accenti materni e pieni di premura per loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'». La calca della gente, l'andirivieni delle persone, l'anèlito di annunciare e sanare per adempiere il mandato ricevuto dal Signore, i lunghi e ed estenuanti trasferimenti di villaggio in villaggio, spesso sotto il sole cocente, avevano davvero messo a dura prova la loro resistenza: «non avevano neanche il tempo di mangiare». È bello e consolante costatare che Gesù amorevolmente si accorga dei loro e dei nostri disagi, delle loro e nostre stanchezze fisiche e spirituali e ci chiami in disparte per consentirci di riposare. È il richiamo del giorno del Signore, della domenica, ma non solo. Molto spesso gli apostoli di oggi, nonostante le innumerevoli ed evidentissime testimonianze contrarie, vengono tacciati come nulla facenti. Solo chi lo vive può comprendere il duro ed indefesso lavoro spirituale e fisico di tanti ministri, spesso posti in situazioni di grande disagio. Non sempre ci si rende conto delle loro situazioni difficili a causa di una mentalità diffusa che ritiene che i preti siano solo da criticare e non da aiutare, definendoli inaccessibili e inossidabili. Le premure di Gesù verso gli apostoli ora sono spesso trasferite a persone buone, umili e silenziose, che come le pie donne del Vangelo, provvedono alle necessità dei ministri del Signore. C'è però un insegnamento ed un invito per tutti: per non lasciarsi sommergere dalle faccende del mondo e dalle sue frenesie, occorre ogni tanto, come si suol dire «staccare la spina» e cercare un luogo solitario, in disparte, fuori dal ritmo vertiginoso che rischia di travolgerci, per riposare un poco.
Io non temo più Dio, lo amo. Perché l'amore caccia il timore.
L'OBBEDIENZA DEI DISCEPOLI Facciamo quel che dice il profeta: «Ho detto: veglierò sulla mia condotta per non peccare con la mia lingua; ho posto un freno alla mia bocca mentre l'empio mi sta dinanzi; sono rimasto in silenzio, mi sono umiliato e ho taciuto anche di cose buone» (Sal 38,2-3 Volg.). Qui il profeta ci mostra che, se per amore del silenzio dobbiamo alle volte astenerci dai discorsi buoni, tanto più per la pena del peccato, dobbiamo evitare quelli cattivi. Pertanto, per custodire la gravità del silenzio, ai discepoli perfetti si conceda raramente il permesso di parlare, fosse pure di argomenti buoni, santi ed edificanti; poiché sta scritto: «Nel molto parlare non eviterai il peccato» (Pr 10,19); e altrove: «Morte e vita sono in potere della lingua» (Pr 18,21).