Gesù prosegue il lungo dialogo con Nicodemo. Gli ha parlato di rinascita e di vita nuova, gli ha parlato dell'acqua e dello spirito, gli ha preannunciato che sarà innalzato sulla croce per diventare fonte di vita. Oggi in modo ancora più esplicito vuole rivelargli il meraviglioso progetto divino che egli sta attuando nel mondo. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”. La fede in Cristo diventa dunque il motivo determinate della salvezza. Poi vuole sciogliere un altro dubbio che forse in Nicodemo e non solo in lui, potrebbe affiorare circa la missione dell'Inviato del Padre: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”. Dal giudizio, già scandito subito dopo il primo peccato e dato dallo stesso Dio, è sgorgata la misericordia divina e la grande promessa di una vittoria finale sul male e sul peccato. Gesù viene per dare compimento a quella promessa, viene quindi come salvatore e redentore del genere umano. L'unica condizione inderogabile è che egli sia accolto nella fede; soltanto chi lo rifiuta colpevolmente si auto condanna, perché si priva di amore e di perdono. Rifiutare la luce vuol dire preferire le tenebre, restare nella notte. Significa ancora non consentire a Dio di illuminare di grazia e di misericordia il nostro peccato. Senza quei doni il peccato resta dentro di noi a marcire nella morte. Gesù ci offre anche la motivazione di tale rifiuto: “Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere”. Quando però conosciamo che al velo della nostra omertà Dio sostituisce il velo pietoso del suo paterno perdono, non dovremmo nutrire timore alcuno, anzi dovremmo godere che le nostre opere tornano ad essere fatte in Dio e nella verità che ci rende finalmente liberi.
Pazienza L'abba Pastor diceva: «Quali che siano le tue pene, la vittoria su di esse sta nel silenzio».
Un giorno che i fratelli si erano riuniti a Scete, alcuni anziani vollero mettere alla prova l'abba Mosè: si fecero sprezzanti e gli dissero: «Perché questa specie di etiope viene tra noi?». L'abate tacque udendo queste parole. Di ritorno dall'assemblea, quelli che lo avevano ingiuriosamente trattato gli dissero: «Non sei turbato?». Egli rispose: «Sono turbato, ma non dico niente».
I VECCHI E I FANCIULLI Sebbene la natura umana sia per se stessa portata a compassione verso queste due età, cioè dei vecchi e dei fanciulli, tuttavia è bene che intervenga in loro favore anche l'autorità della Regola. Si tenga sempre conto della loro debolezza e non si applichi affatto ad essi il rigore della Regola riguardo al vitto; si abbia piuttosto verso di loro un'amorevole condiscendenza e anticipino pure le ore regolari dei pasti.