“Difficilmente u ricco entrerà nel regno dei cieli”. È il proseguo del vangelo di ieri conclusosi con l'amara delusione del giovane che ne va triste perché legato ai suoi beni. Comprendiamo così che Gesù non vuole fare una condanna indiscriminata della ricchezza. Abbiamo innumerevoli riferimenti nei quali possiamo scorgere che il Signore colma di beni i suoi fedeli; il nostro Dio è un Dio provvido che ci raccomanda di cercare innanzitutto il suo Regno, garantendoci tutto quanto ci è necessario: “Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. Ciò che il Signore ci chiede è il distacco dai beni della terra, la fiducia nella sua provvidenza e soprattutto l'affermazione del primato assoluto di Dio a cui nulla deve essere anteposto. Tale distacco non elude neanche gli affetti più cari: “Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me”. Non è facile né naturale per noi operare concretamente nella vita le giuste valutazioni e le dovute rinunce, per questo Gesù ci dice che ciò che sarebbe impossibile alla nostra ragione e ai nostri naturali istinti, diventa possibile con l'aiuto e la grazia divina. San Pietro, parlando a nome dei dodici, afferma che, mettendosi docilmente alla sequela di Cristo hanno lasciato tutto e chiede quale sarà la loro ricompensa. Egli forse non ha ancora preso coscienza che lo stare con Cristo è già un'abbondante ricompensa o forse pensa la futuro e Gesù scandisce le promesse, che riguardano gli apostoli, ma sono anche per tutti noi: «In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eternai». È la solenne promessa alle nostre rinunce, alle nostre scelte, talvolta ardue, ma sempre convenienti per noi. È sempre vero che il Signore non si lascia vincere in generosità.
«Non è ancora perfetta quella preghiera in cui il monaco ha coscienza di sé e del fatto stesso di pregare».
L'UMILTÀ Il settimo gradino dell'umiltà si sale quando il monaco, non solo a parole si dichiara l'ultimo e il più spregevole di tutti, ma si ritiene veramente tale anche nel più profondo del cuore, umiliandosi e dicendo col profeta: «Io sono verme e non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo» (Sal 21,7); «mi sono esaltato e allora sono stato umiliato e confuso» (Sal 87,16 Volg.); e ancora: «Bene per me se sono stato umiliato, perché impari ad obbedirti» (Sal 118,71).