«Le mie pecore ascoltano la mia voce(...). Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. (...)dalla mano del Padre mio» (Gv 10, 28 29).
La voce di Gesù ha annunziato la buona novella del Vangelo sulla quale fondare la nostra esistenza. Egli non ha detto parole inutili, ma parole di vita e di verità. «L'ascoltare la sua voce di Pastore» è accogliere la sua Parola, capace di trasformarci nel profondo e di orientare tutta la nostra vita nella luce del bene; è affidarsi alle sue mani, tempio di ogni nostra pace, dove deve risuonare la lode continua della nostra fede. Gesù attraverso la sua incarnazione ci ha reso visibile il grande amore del Padre e la sua predilezione per noi. Egli che si è manifestato a noi come uomo, rivela il Padre («Chi vede me, vede il Padre» - Gv 12,45 -) che viene a noi con voce e membra umane. Sono appunto la voce e la mano del Pastore che ci attraggono e ci guidano nel cammino. Non è una voce qualunque, ma è quella del Figlio di Dio, non sono mani qualsiasi, ma quelle inchiodate ad una croce, che ci hanno salvato e grazie alle quali non ci perderemo mai. Sono mani che in eterno portano i segni della passione. Gesù ci mostra le sue mani ogni giorno attraversa quelle del sacerdote: il pane e il vino ricevendo la Parola e i gesti del Signore, si trasformano nel suo vero corpo e nel suo vero sangue («Prese il pane nelle sue mani sante e venerabili» - Preghiera eucaristica I - ). Queste mani ci benedicono, ci assolvono dai peccati, amministrano i sacramenti. Lui stesso si è consegnato nelle mani del Padre nel momento della morte. La liturgia ogni sera nella preghiera di Compieta ci invita a ripetere quelle parole per ricordarci non solo che il riposo notturno è affidato a lui, ma che tutta la nostra vita deve essere un atto di fede e abbandono in Lui, e che ogni momento ci prepara al meraviglioso dono della vita nuova ed eterna. La mano del Signore è rifugio sicuro, è guida e spinta a predicare nel suo nome e a testimoniare con la vita che crediamo nel suo amore che salva. «E la mano del Signore era con loro» (Atti 11, 21), con ogni suo discepolo per annunziare la sua Parola e per «perseverare con cuore risoluto nel Signore» (Atti 11, 24 ).
Un fratello andò da un eremita e uscendo dalla sua cella disse: Perdonami, o padre, perché ti ho impedito di adempiere alla tua regola. Quello rispose dicendogli: La mia regola è di accoglierti in modo ospitale e di farti andare in pace.
VESTI E CALZATURE DEI FRATELLI Ai fratelli si diano vesti secondo le condizioni e il clima dei luoghi dove risiedono, perché nelle regioni fredde si ha bisogno di più, in quelle calde di meno. Giudicare di questo spetta all'abate. Comunque noi pensiamo che nelle regioni a clima temperato siano sufficienti a ciascun monaco la tunica, la cocolla, una di pelo per l'inverno e una di stoffa liscia o consumata per l'estate e lo scapolare per il lavoro; le calze e le scarpe per i piedi. Quanto poi al colore o alla qualità degli indumenti, i monaci non vi facciano troppo caso, ma si accontentino di ciò che si trova nel territorio dove abitano o di quel che si può acquistare a minor prezzo. L'abate però si preoccupi della misura delle vesti, che non siano troppo corte per chi le deve indossare, ma di taglia giusta.