«Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». Questa sentenza del Signore ci indica verso chi egli indirizza di preferenza la sua missione e, paragonandosi ad un medico, dice di voler anzitutto soccorrere i malati e non i sani e, volendo mostrare visibilmente al mondo la misericordia del Padre, afferma ancora che i primi destinatari, non sono i giusti, che già hanno accolto quel dono di Dio, ma i peccatori che ne sono privi. Questo ci spiega la natura della missione di Cristo e i motivi che l'inducono a cercare, ovunque si trovino, i malati del corpo e dello spirito. Il vangelo di oggi ci fa incontrare Gesù in Galilea, nella regione dei Geraseni, disprezzata dagli abitanti di Gerusalemme; qui il Signore viene riconosciuto come colui che porta la vita e la salvezza. Con questa convinzione accorrono da lui, lo cercano dovunque, per poi condurgli gli ammalati nel corpo e nello spirito. Ecco un ruolo ed una missione che dovrebbe essere costantemente nel cuore di ogni credente: cercare Gesù e condurre a lui gli affaticati e gli oppressi di questo nostro mondo. Non basta procurare loro un buon ospedale e affidarli alle buone cure dei medici; quasi sempre alla malattia del corpo si accompagna uno stato di spossatezza dell'anima, un'infermità dello spirito, che merita la migliore attenzione. Quando riponiamo tutte le nostre speranze solo ed esclusivamente nell'apporto della medicina e delle cure esterne degli uomini, rischiamo di trascurare la parte più importante e preziosa dell'uomo, la sua anima. Capita troppo spesso di trovarci impreparati dinanzi al malato, soprattutto dinanzi al malato terminale, quando la medicina e i medici hanno smesso, perché impotenti, il loro compito, quando in tono di passiva rassegnazione sentiamo dire o diciamo a noi stessi: «Non c'è più nulla da fare». È un inganno. Quando non c'è più nulla da fare da parte dei medici e della medicina, dovrebbe iniziare un amorevole premura, che aiuti il paziente ad affrontare nel modo migliore possibile il dramma della morte. Questa è la proposta cristiana per una vera eutanasia, per una morte non dolce, ma da credenti in Cristo. Dio solo sa quanti nostri fratelli e forse anche persone a noi care, vengono lasciate nella più penosa solitudine e abbandono proprio quando avrebbero più urgente bisogno di presenze e di cristiana collaborazione. Quando si spengono in noi le umane attese abbiamo bisogno più che mai di ravvivare la speranza cristiana nei beni futuri ed eterni.
"Un fratello chiese ad abba Arsenio di dirgli una parola. L'anziano gli disse: «Lotta con tutte le tue forze perché la tua attività interiore sia secondo Dio e così vincerai le passioni esteriori».
L'UMILTÀ La divina Scrittura, fratelli, ci grida: «Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,11). E con questa affermazione vuol farci capire che ogni esaltazione è una specie di superbia; cosa da cui il profeta dichiara di guardarsi quando dice: «Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze» (Sal 130,1). E allora? «Se non nutro sentimenti di umiltà ma esalto il mio cuore, tu mi tratterai come un bambino svezzato dal seno di sua madre» (Sal 130,2 Volg.).