Gesù da questo episodio appare come una persona autorevole, il cui magistero è così grande che si ricorre a lui per essere benedetti. Naturalmente, seppure vale quanto detto Martedì sui bambini, che cioè non godevano grande considerazione nella società antica, tuttavia le famiglie (e in particolar modo le mamme) avevano un certo riguardo per coloro che costituivano l'avvenire della società. L'episodio, preso nella sua letteralità, non dice granché: ci sono le mamme preoccupate che vogliono far benedire i loro figli; c'è la brusca reazione dei discepoli e possiamo immaginare questi uomini rozzi che, magari con qualche calcio e con qualche scapaccione, tentano di allontanare le presenze fastidiose; c'è una risposta benevola di Gesù che placa gli animi. La considerazione è che ci si trovi in un quadretto semitico di rapporto maestro-discepoli-adepti-devoti, e in questo modo la scena è costruita. Seppure con modalità note, il messaggio è un altro ed è sì quello già visto per il richiamo a divenire come fanciulli (Mt 18, ss), ma quanto più si diviene e ci si considera ultimi tanto più il regno si manifesta, diviene realtà concreta e operante. In fondo, è la situazione di "minorità" che emerge con preponderanza da tutto il contesto evangelico matteiano propostoci in queste settimane e a cui il cristiano è chiamato a volgersi come leit-motiv delle scelte personali e comunitarie.
«Qualunque immagine appaia, colui che la vede non cada in trepidazione, ma piuttosto interroghi con sicurezza dicendo dapprima: "Chi sei tu e da dove vieni?"... Se si tratta di una potenza diabolica, subito si indebolirà vedendo un animo sicuro e vigoroso.
L'UMILTÀ Il secondo gradino dell'umiltà si sale quando uno, non amando la propria volontà, non si compiace di soddisfare i suoi desideri, ma imita con i fatti quella parola del Signore che dice: «Non sono venuto a fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6,38). E similmente la Scrittura dice: «La volontà propria merita la pena, mentre la costrizione procura il premio». Il terzo gradino dell'umiltà si sale quando uno per amor di Dio si sottomette al superiore in tutta obbedienza, imitando il Signore di cui dice l'apostolo: «Si è fatto obbediente al Padre fino alla morte» (Fil 2,8).