Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire, Bassano Romano (VT)  
06 - 12 Agosto 2006
Tempo Ordinario XVIII, Colore verde
Lezionario: Ciclo B | Anno II, Salterio: sett. 2

Commento alle Letture

Sabato 12 agosto 2006

Pregare... ma non solo in neccessità...

Il profeta Abacuc viveva nel tempo della dominazione caldea: una volta di più la situazione per gli Israeliti era angosciosa. Lo sguardo del profeta va dagli eventi a Dio e da Dio agli eventi. L'inizio è la proclamazione della santità di Dio: «Non sei tu fin da principio il mio Dio, il mio Santo?»; quindi la dominazione caldea è un flagello che egli usa per castigare i peccatori, per fare giustizia: «Tu hai scelto un popolo per fare giustizia, l'hai reso forte, o roccia, per castigare». Però la dominazione caldea va agli eccessi, impone una oppressione intollerabile; il profeta la considera e di nuovo volge lo sguardo a Dio: «Tu dagli occhi così puri che non puoi vedere il male e non puoi guardare l'iniquità, perché, vedendo i malvagi, taci mentre l'empio ingoia il giusto?».
Questa domanda: «Perché Dio tace, perché Dio non si muove, non pone limiti alla prepotenza degli invasori?» quante volte ci viene sulle labbra! E una pena che stringe il cuore vedere l'ingiustizia, la violenza che si diffondono nel mondo.
Abacuc guarda come si comportano i Caldei e li paragona a dei pescatori: «Tu tratti gli uomini come pesci del mare, come un verme che non ha padrone. Egli (cioè il Caldeo) li prende tutti all'amo, li tira su con il giacchio, li raccoglie nella rete, e contento ne gode». E questo pescatore è idolatra: «Offre sacrifici alla sua rete e brucia incenso al suo giacchio, perché fanno grassa la sua parte e succulente le sue vivande». Però questa pesca m realtà è una strage: «Continuerà dunque a vuotare il giacchio e a massacrare le genti senza pietà?».
Le situazioni di estrema necessità richiedono uno sforzo di riflessione e di preghiera. Così fa Abacuc:
«Mi metterò di sentinella, in piedi sulla fortezza, a spiare, per vedere che cosa mi dirà, che cosa risponderà ai miei lamenti». La risposta del Signore viene ed è introdotta con una speciale insistenza. Dio chiede che sia messa per iscritto, il che indica che si tratta di una cosa non immediata, che avrà però valore duraturo: «Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette perché la si legga speditamente. E una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce». Bisogna avere pazienza e anche speranza: ciò che Dio dice avverrà. «Se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà». E qual è il messaggio? E questo: «Ecco, soccombe colui che non ha l'animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede». Nelle situazioni di gra¬vi difficoltà è il momento di insistere sulla relazione con il Signore, di tener bene la sua mano, per poter resistere alla tempesta senza essere travolti verso l'abisso. «Il giusto vivrà per la sua fede». La fede è adesione al Signore, ferma, salda. Soltanto con la fede si è vincitori. «Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo», dice san Giovanni. «Questa è la vittoria che sconfigge il mondo, la nostra fede».
Nel Vangelo di oggi Gesù ci dice: «Se avrete fede pari a un granellino di senapa, niente vi sarà impossibile». Nelle difficoltà quindi manteniamo la fede, manteniamoci uniti al Signore. E le difficoltà, invece di nuocerci, saranno occasioni di grazie preziose.


Nel nostro Monastero

San Gratigliano, martire, soll.
Letture proprie

"Gesù disse ai suoi discepoli: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna". In queste parole è racchiusa la motivazione che hanno indotto e inducono i martiri a subire ogni tortura sino alla morte L'Apostolo Giacomo ribadisce lo stesso concetto quando scrive: "Beato l'uomo che sopporta la tentazione, perché una volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano". Coronare la vita significa spenderla nel modo migliore possibile, conseguire il premio promesso di gran lunga più prezioso della vita e dei giorni che potremmo ancora godere quaggiù. Dice ancora il Signore: "Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima?". Il calcolo dei valori e l'intelligenza della fede consente ai martiri di fare le loro scelte eroiche. È però la stessa fede che deve guidarci tutti i giorni della nostra vita. Con quella stessa luce dobbiamo affrontare le inevitabili prove che tutti, in modi diversi. tutti dobbiamo subire. O ci lasciamo illuminare dalla fede o ci condanniamo ad una lotta assurda contro le avversità che non potremmo mai evitare e sconfiggere. La vera vittoria è proprio quella dei gloriosi martiri e di tutti i Santi che hanno amato la sofferenza perché vista come strumento di meriti e vera gloria. Entrano in gioco il tempo e l'eternità, la vita presente e la vita futura, i beni di questo mondo e quelli ultraterreni, la vita e la morte. La potenza del mondo e la fragilità dei credenti si affrontano e si confrontano con un esito apparentemente scontato, ma viene letteralmente capovolto al cospetto di Dio. È determinante quindi la fede e l'abbandono in Dio, è indispensabile la luce dello Spirito Santo e la grazia divina che ci sostiene nelle nostre scelte quotidiane.

Apoftegmi - Detti dei Padri

Discernimento

«Un anziano disse: "Non fare niente prima di aver esaminato il tuo cuore per vedere se ciò che stai per fare è secondo Dio"».


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

L'UMILTÀ

Il primo gradino dell'umiltà si sale quando, avendo sempre davanti agli occhi il timor di Dio, si fugge nel modo più assoluto la dimenticanza; ci si ricorda sempre di tutti i comandamenti di Dio e si medita continuamente nel proprio cuore come cadano nella geenna per i loro peccati quelli che disprezzano Dio e come la vita eterna sia preparata per quelli che lo temono; e, guardandosi ogni momento dai peccati e dai vizi di ogni genere, cioè dei pensieri, della lingua, degli occhi, delle mani, dei piedi, della volontà propria, nonché dai desideri della carne, ci si affretti ad amputarli.

Cap.7,10-12.