Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire, Bassano Romano (VT)  
06 - 12 Agosto 2006
Tempo Ordinario XVIII, Colore verde
Lezionario: Ciclo B | Anno II, Salterio: sett. 2

Commento alle Letture

Martedì 08 agosto 2006

La vocazione o... seguire la Sua voce...

Sin dall'inizio la vocazione di Geremia si presentava con una duplice finalità: «Ecco - diceva Dio - oggi ti costituisco sopra i popoli e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare». La prima finalità era negativa: sradicare e demolire, distruggere e abbattere; però la seconda era positiva: edificare e piantare. Ogni volta troviamo la metafora della vegetazione e la metafora della costruzione. Durante i primi anni del suo servizio profetico Geremia dovette soprattutto perseguire la prima finalità e proclamare messaggi di distruzione. Dopo la caduta di Gerusalemme diventò attuale il secondo aspetto, come vediamo nella prima lettura di oggi, dove c'è dapprima una constatazione negativa: «Così dice il Signore: La tua ferita è incurabile, la tua piaga è molto grave. Per la tua piaga non ci sono rimedi». La distruzione di Gerusalemme, la rovina del tempio mettevano gli Ebrei in una situazione senza rimedio. Però in questa situazione il Signore rianima la speranza, ristabilisce la fiducia, perché egli aveva permesso questi castighi non con l'intenzione di una definitiva distruzione, ma soltanto per una purificazione. Gerusalemme era nel peccato, doveva essere liberata dal male e non c'era altro mezzo se non la distruzione. Avvenuta questa, l'opera positiva diventava possibile e il Signore la promette: «Ecco restaurerò la sorte delle tende di Giacobbe e avrò compassione delle sue dimore. La città sarà ricostruita sulle rovine e il palazzo sorgerà di nuovo al suo posto». Dio parla di feste: ci saranno «inni di lode, voci di gente festante».
In questa nuova situazione l'oracolo accenna al capo del popolo eletto in modo piuttosto inaspettato: «il loro capo sarà uno di essi... Io lo farò avvicinare ed egli s accosterà a me. Poiché chi è colui che arrischia la vita per avvicinarsi a me? Oracolo del Signore».
La liturgia di oggi suggerisce un raffronto tra questo oracolo sul capo del popolo di Dio, e la vocazione di Pietro. Infatti nel Vangelo di oggi vediamo Pietro che è ispirato a rischiare la vita per avvicinarsi a Gesù che camminava sul mare e Pietro ebbe l'ispirazione di dire: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque!»... «Pietro - dice il racconto - scendendo dalla barca si mise a camminare sulle acque»: era veramente rischiare la vita sulla parola di Gesù. Il pericolo si dimostrò davvero grave quando l'Apostolo cominciò ad affondare.
Ci vuole coraggio a rischiare la vita per avvicinarsi al Signore, ma chi ha la vocazione di responsabilità nella Chiesa deve avere questo coraggio: se scende dalla barca sulla parola del Signore non deve temere, perché il Signore lo aiuterà. Pietro si impaurì e gridò: «Signore, salvami!». «E subito Gesù stese la mano, lo afferrò». Pietro era salvo. Però ricevette una lezione: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Rischiare la vita per avvicinarsi al Signore non provoca pericoli gravi, proprio perché il rapporto con lui è salvezza e permette che la vita abbia fecondità apostolica. «Voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio», è la conclusione del brano di Geremia. Grazie a un capo che mette a rischio la vita per avvicinarsi al Signore, la relazione tra il popolo e Dio diventa stabile e salda.


Apoftegmi - Detti dei Padri

Un fratello ha detto ad un anziano: «Io non vedo lotte nel mio cuore». L'anziano gli rispose: «Tu sei un edificio aperto da tutti i lati. Chiunque entra da te e ne esce a proprio piacimento. E tu, tu non sai ciò che accade. Se tu avessi una porta, se tu la chiudessi ed impedissi ai cattivi pensieri di entrare, allora li vedresti fermi all'esterno e combattere contro di te».

Avere una porta per sapere ciò che accade.

Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

L'OBBEDIENZA DEI DISCEPOLI

E difatti parlare e insegnare è compito del maestro, tacere e ascoltare è dovere del discepolo. Quindi, se si deve chiedere qualcosa al superiore, lo si faccia con tutta umiltà e sommo rispetto, in modo da non parlare più di quanto sia conveniente. Quanto poi alle volgarità, alle parole inutili o alle buffonerie, le escludiamo nel modo più assoluto da tutto l'ambito del monastero e non permettiamo che il discepolo apra la bocca a tali discorsi.

Cap.6,6-8.