Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire, Bassano Romano (VT)  
06 - 12 Agosto 2006
Tempo Ordinario XVIII, Colore verde
Lezionario: Ciclo B | Anno II, Salterio: sett. 2

Commento alle Letture

Lunedì 07 agosto 2006

Il Profeta a nome di Dio...

Ai nostri tempi il profetismo nella Chiesa conosce un nuovo sviluppo. Il carisma della profezia non è mai mancato alla Chiesa, molti santi lo hanno avuto; adesso però parecchi cristiani si atteggiano a profeti: scrivono articoli, fanno discorsi che pretendono di rivelare il pensiero di Dio sulle vie della Chiesa.
San Paolo riconosce l'esistenza del carisma della profezia nella Chiesa e dà una regola per il suo uso corretto. Nella lettera ai Romani (12, 6) scrive: «Abbiamo carismi diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia, lo eserciti secondo la misura dell'accreditamento». Così conviene tradurre questo testo. La traduzione abituale è «1a misura della fede», però non è l'interpretazione giusta della parola di Paolo, che vuol parlare dell'accreditamento dato da Dio a un credente perché trasmetta i messaggi divini. La lettura di oggi ci aiuta a capire questa regola data dall'Apostolo, perché vi troviamo la contrapposizione fra due profeti, uno che va al di là del suo accreditamento e uno che lo rispetta. Anania è un profeta di Gabaon che pretende di comunicare una rivelazione divina molto gradevole per la gente di Gerusalemme. Nabucodonosor si è impadronito della città e ha deportato la maggior parte degli abitanti; quelli che rimangono vivono penosamente. Naturalmente tutti desiderano che le cose cambino e il profeta Anania predice che un cambiamento favorevole è vicino: «Così dice il Signore degli eserciti: Entro due anni farò ritornare in questo luogo tutti gli arredi del tempio di Gerusalemme che Nabucodonosor, re di Babilonia, prese da questo luogo e portò in Babilonia. Farò ritornare in questo luogo - dice il Signore - Ieconia, il re di Giuda, con tutti i deportati». E una profezia meravigliosa, che però purtroppo non corrisponde ad una ispirazione autentica. E Geremia rispose al profeta Anania che la sua profezia non aveva valore; egli parlava per opportunismo, per corrispondere ai desideri del popolo, non secondo il desiderio di Dio. Ma Anania insistette e fece un gesto simbolico. Geremia portava un giogo sul collo; Anania lo strappò via e lo ruppe proclamando: «Dice il Signore: A questo modo io romperò il giogo di Nabucodonosor entro due anni». Il testo biblico conclude:
«Il profeta Geremia se ne andò per la sua strada... Ora, la parola del Signore fu rivolta a Geremia: "Va' e riferisci ad Anania: Così dice il Signore: Tu hai rotto un giogo di legno ma io, al suo posto, ne farò uno di ferro"». E Geremia dovette dire ad Anania da parte di Dio: «Ecco, ti mando via dal paese; quest'anno tu morirai, perché hai predicato la ribellione contro il Signore». E così avvenne.
Anania non aveva rispettato la regola essenziale del carisma della profezia: parlare secondo la misura dell'accreditamento, cioè trasmettere i messaggi divini autentici, non spacciare le proprie idee per ispirazioni divine. Questa regola di san Paolo è sempre attuale; ciascuno di noi deve essere attento a non oltrepassare i limiti della grazia che ha ricevuto, altrimenti invece di edificare la Chiesa la rovinerà, per quanto dipende da lui; deve essere attento a non spacciare le proprie idee per ispirazioni divine; deve essere attento ad accogliere ciò che viene da Dio, con discernimento e con generosità. (Da: Il Pane quotidiano...)


Apoftegmi - Detti dei Padri

Io non temo più Dio, lo amo. Perché l'amore caccia il timore.

Antonio

Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

L'OBBEDIENZA DEI DISCEPOLI

Facciamo quel che dice il profeta: «Ho detto: veglierò sulla mia condotta per non peccare con la mia lingua; ho posto un freno alla mia bocca mentre l'empio mi sta dinanzi; sono rimasto in silenzio, mi sono umiliato e ho taciuto anche di cose buone» (Sal 38,2-3 Volg.). Qui il profeta ci mostra che, se per amore del silenzio dobbiamo alle volte astenerci dai discorsi buoni, tanto più per la pena del peccato, dobbiamo evitare quelli cattivi. Pertanto, per custodire la gravità del silenzio, ai discepoli perfetti si conceda raramente il permesso di parlare, fosse pure di argomenti buoni, santi ed edificanti; poiché sta scritto: «Nel molto parlare non eviterai il peccato» (Pr 10,19); e altrove: «Morte e vita sono in potere della lingua» (Pr 18,21).

Cap.6,1-5.