Letture proprie:
1Reg 19, 4-9.11-15; Ps. 14; Gal. 2,19-20; Mt 19,27-29
«Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?».
Pietro non chiede un premio a Gesù; gli basta stare con il Maestro, ha già rinunciato a tutto, spontaneamente e non chiede un riconoscimento pubblico per questo. I discepoli, dopo il commento di Gesù all'episodio del giovane ricco pongono la questione della salvezza. Pietro, allora vuol fare sue le parole di Gesù. Non a tutti Gesù chiede di seguirlo - vedi Zaccheo che trova la salvezza nella sua casa -, il giovane ricco però a rifiutato di seguirlo. Ciò rende evidente il motivo ultimo della sequela: la salvezza; quella stessa che si è meritata Zaccheo. Anche la domanda di Pietro allora si pone proprio su questo livello e su questo livello si pone Gesù. Non si parla delle realtà terrene, dei beni materiali ma di una partecipazione alla vita divina. La sequela di Cristo partecipa già alla sua vita, il desiderio di Pietro e unirsi ancora più profondamente con il suo Maestro, con il suo Signore. Ecco cosa chiede a Gesù, e Lui gli risponde come ottenere ciò, come poter scrivere il nome nei cieli. Parla di una nuova creazione, perché in Cristo noi rinasciamo alla speranza nuova, noi viviamo di vita nuova, siamo partecipi ad un diverso destino. Il sedersi con Gesù sul trono dei tempi ultimi è proprio l'indicazione di una nuova vita, nella sua gloria finale. La rinuncia per il Regno dei Cieli è proprio questa: la sequela più prossima a Cristo per partecipare al suo Mistero, per intessere con Lui il dialogo che avrà come risultato il telo della vita eterna. La vocazione, la chiamata è allora il farci partecipi della salvezza che Gesù ci ha promesso con la sua Morte e Resurrezione! Il bene eterno è proprio, quindi rappresentato dalla salvezza che è Gesù che entra nella nostra casa e la purifica, è la sequela, è il discepolato per la vita eterna.
Il Padre Daniele disse: "Quanto più fiorisce il corpo, tanto più si estenua l'anima, e quanto più si estenua il corpo tanto più fiorisce l'anima".
NORME PER L'ACCETTAZIONE DEI FRATELLI Se possiede delle sostanze, o le distribuisca prima ai poveri, oppure le ceda al monastero con un atto pubblico di donazione, senza riservare per sé nulla di tutti i suoi beni, poiché sa che da quel giorno egli non potrà disporre nemmeno del proprio corpo. Subito dopo sia svestito dei propri abiti e rivestito con quelli del monastero. Tuttavia gli indumenti di cui è stato spogliato siano conservati nel guardaroba, perché se un domani, cedendo alle istigazioni del diavolo, egli dovesse - non sia mai! - uscire dal monastero, allora venga svestito degli abiti del monastero e mandato via. Però la sua carta di professione, che l'abate prese dall'altare, non gli si restituisca ma si conservi nel monastero.