Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Sabato 26 novembre 2005

Abbiamo lasciato tutto; che cosa dunque ne otterremo?

Letture proprie:
1Reg 19, 4-9.11-15; Ps. 14; Gal. 2,19-20; Mt 19,27-29

«Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?».
Pietro non chiede un premio a Gesù; gli basta stare con il Maestro, ha già rinunciato a tutto, spontaneamente e non chiede un riconoscimento pubblico per questo. I discepoli, dopo il commento di Gesù all'episodio del giovane ricco pongono la questione della salvezza. Pietro, allora vuol fare sue le parole di Gesù. Non a tutti Gesù chiede di seguirlo - vedi Zaccheo che trova la salvezza nella sua casa -, il giovane ricco però a rifiutato di seguirlo. Ciò rende evidente il motivo ultimo della sequela: la salvezza; quella stessa che si è meritata Zaccheo. Anche la domanda di Pietro allora si pone proprio su questo livello e su questo livello si pone Gesù. Non si parla delle realtà terrene, dei beni materiali ma di una partecipazione alla vita divina. La sequela di Cristo partecipa già alla sua vita, il desiderio di Pietro e unirsi ancora più profondamente con il suo Maestro, con il suo Signore. Ecco cosa chiede a Gesù, e Lui gli risponde come ottenere ciò, come poter scrivere il nome nei cieli. Parla di una nuova creazione, perché in Cristo noi rinasciamo alla speranza nuova, noi viviamo di vita nuova, siamo partecipi ad un diverso destino. Il sedersi con Gesù sul trono dei tempi ultimi è proprio l'indicazione di una nuova vita, nella sua gloria finale. La rinuncia per il Regno dei Cieli è proprio questa: la sequela più prossima a Cristo per partecipare al suo Mistero, per intessere con Lui il dialogo che avrà come risultato il telo della vita eterna. La vocazione, la chiamata è allora il farci partecipi della salvezza che Gesù ci ha promesso con la sua Morte e Resurrezione! Il bene eterno è proprio, quindi rappresentato dalla salvezza che è Gesù che entra nella nostra casa e la purifica, è la sequela, è il discepolato per la vita eterna.


L'uomo dell'ascolto.

È la solennità del nostro fondatore, da non confondere con il Santo Papa omonimo del 31 Dicembre. La chiesa universale si limita a farne solo la memoria. Per noi è la festa grande, è la festa del «Padre» e fondatore del nostro Ordine. La vita del nostro santo può essere ben definita e sintetizzata in un continuo e docile ascolto della Parola di Dio, delle divine ispirazioni e l'umile e fervente adesione ad esse. Possiamo dire che il primo ascolto lo ha prestato alla buona mamma Bianca, dalla quale ha appreso gli elementi essenziali della vita cristiana; fra le braccia materne ha imparato a dare il primato a Dio e mettere in second'ordine le cose del mondo. Questa convinzione riemergerà tante volte nella sua vita e sarà il motivo conduttore delle sua scelte. Inviato a Bologna, per diventare un giurista, si accorge che lo studio della legge «non lo accendono per le cose di Dio» - come ci dice il suo primo biografo - e allora subito la determinazione di lasciare quegli studi per passare a quello della teologia a Padova. Incorre così nelle ire del padre, che vede deluse le sue aspettative e i sogni di grandezza umana che aveva vagheggiato per il figlio. Silvestro riafferma il primato assoluto di Dio nella sua vita e resiste per diversi anni alle sollecitazioni e minacce paterne. Finalmente libero di seguire la propria vocazione, diventa canonico della cattedrale di Osimo, sua città nativa; è stimato ed apprezzato da tutti per la sua scienza e la sua santità, egli però, sempre attento alla voce di Dio, sente di dover assecondare ancora una volta la sua chiamata. Lascia tutto e tutti e si cala nella completa solitudine come eremita in una grotta negli aspri anfratti della Gola della Rossa, non distante dalle famose grotte di Frasassi. Anche l'esperienza eremitica durerà poco per Silvestro. Scoperto da alcuni cacciatori, inizia un vero e proprio pellegrinaggio verso la grotta del santo e alcuni desiderano imitarlo in quella scelta così radicale e porsi sotto la sua guida spirituale. Si ritrova così prima a dover essere padre e guida di altri e poi a dover fondare un nuovo Ordine, ispirato alla Regola benedettina. Attento ascoltatore quindi il nostro Santo, ma anche ben alimentato dalla grazia divina: il segreto della sua santità e del suo eroismo è raffigurato nella immagine più classica che possediamo di lui: il santo riceve la santa Eucaristia per le mani della Vergine Madre, fatto unico nella storia dei santi. Molti fedeli lo invocano, alcuni hanno sperimentato una speciale efficacia, miracoli che il Signore, per le mani dei santi, continua ad operare anche oggi.

Apoftegmi - Detti dei Padri

Il Padre Daniele disse: "Quanto più fiorisce il corpo, tanto più si estenua l'anima, e quanto più si estenua il corpo tanto più fiorisce l'anima".


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

NORME PER L'ACCETTAZIONE DEI FRATELLI

Se possiede delle sostanze, o le distribuisca prima ai poveri, oppure le ceda al monastero con un atto pubblico di donazione, senza riservare per sé nulla di tutti i suoi beni, poiché sa che da quel giorno egli non potrà disporre nemmeno del proprio corpo. Subito dopo sia svestito dei propri abiti e rivestito con quelli del monastero. Tuttavia gli indumenti di cui è stato spogliato siano conservati nel guardaroba, perché se un domani, cedendo alle istigazioni del diavolo, egli dovesse - non sia mai! - uscire dal monastero, allora venga svestito degli abiti del monastero e mandato via. Però la sua carta di professione, che l'abate prese dall'altare, non gli si restituisca ma si conservi nel monastero.


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