Gesù scandisce di nuovo per tutti noi l'essenza della legge nuova e la via sicura per accedere al suo Regno. Dobbiamo porre Dio al primo posto ed amarlo con tutte le nostre forze, dobbiamo riconoscerlo come nostro Padre e Padre di tutti. Con questa fede e con questo amore possiamo intraprendere un viaggio di discesa dalle nostre sicurezze e dal nostro egoismo verso il prossimo, che attende amore e soccorso. Scendere da Gerusalemme, immettersi nel cammino del povero, è un sacrosanto dovere per ogni credente; significa concretamente tradurre in opere caritative la nostra fede, se non vogliamo che rimanga sterile; significa caricarsi sulle nostre spalle l'altrui sofferenza ed essere pronti a pagare di persona. Non possiamo perciò bearci del nostro benessere, rinchiuderci entro le mura della nostra Gerusalemme, illudendoci di una religiosità personale, intimistica e protetta. È ricorrente la tentazione, dinanzi al malcapitato che bussa alle porte del nostro cuore o della nostra casa o incontriamo sulla nostra strada, di passare oltre e lasciare ad altri l'incarico di prestargli aiuto. Dobbiamo fare un attenta verifica dei percorsi della nostra fede e della nostra religiosità fino a domandarci se per caso le nostre chiese non diventino talvolta le tane dove nascondiamo il nostro egoismo per paura di macchiarci delle altrui impurità.
L'abba Antonio predisse all'abba Amun: «Tu farai molti progressi nel timore di Dio». Poi lo condusse fuori dalla cella e gli mostrò una pietra: «Mettiti a ingiuriare questa pietra», gli disse, «e colpiscila senza smettere». Quando Amun ebbe terminato, sant'Antonio domandò se la pietra gli avesse risposto qualcosa. «No», disse Amun. «Ebbene! anche tu», aggiunse l'anziano, «devi raggiungere questa perfezione».
SE I MONACI POSSONO AVERE ALCUNCHÉ DI PROPRIO Nel monastero bisogna estirpare fin dalle radici soprattutto questo vizio: che nessuno ardisca dare o ricevere qualcosa senza il permesso dell'abate; né avere alcunché di proprio, nulla nel modo più assoluto: né libro, né tavolette, né stilo, proprio niente insomma; dal momento che ai monaci non è lecito disporre nemmeno del proprio corpo e della propria volontà. Tutto il necessario invece lo devono sperare dal padre del monastero; e non sia lecito avere alcuna cosa che l'abate non abbia data o permessa. Tutto sia comune a tutti - come sta scritto - e nessuno dica o ritenga qualcosa come sua proprietà (At 4,32). E se si scoprirà un fratello che asseconda questo pessimo vizio sia ripreso una prima e una seconda volta; se non si corregge, sia sottoposto alla disciplina regolare.