Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire, Bassano Romano (VT)  
21 - 27 Novembre 2004
Tempo Ordinario XXXIV, Colore bianco
Lezionario: Ciclo C | Anno II, Salterio: sett. 2

Commento alle Letture

Lunedì 22 novembre 2004

L'obolo della vedova

Lo sguardo di Gesù penetra nelle profondità dell'anima, egli scruta i cuori e non valuta soltanto dai gesti esterni come siamo solita fare noi uomini. Coloro che, perché ricchi, erano certi di ostentare generosità gettando pesanti e rimbombanti monete nel contenitore di rame posto nel tempio, non suscitano la benché minima ammirazione da parte del Signore. Gesù fissa invece il suo sguardo di compiacimento su una povera vedova, sicuramente passata inosservata, che aveva messo solo due spiccioli, due centesimi diremmo oggi noi. È poca cosa, diremmo noi con i nostri calcoli. Non la pensa così il Signore: «In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti». È facile dare quando le tasche sono piene. Per chi vive nell'abbondanza non costa nulla privarsi di qualcosa, non causa il benché minimo disagio. I ricchi fanno presto ad ostentare generosità, immemori che talvolta quello che hanno e che danno come elargizione, è frutto del maltolto precedentemente ai poveri. La povera vedova "nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere". I ricchi al contrario hanno deposto come offerta del loro superfluo. La carità vera costa sacrificio. Diamo qualcosa che amiamo, che ci urge, che magari riteniamo indispensabile per noi e invece lo doniamo all'altro. Gesù ci detterà la norma della suprema testimonianza di amore: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici". I martiri in modo perfetto hanno realizzato questo tipo di dono e di testimonianza, ma ogni dono offerto con amore e gratuità, può essere assimilato al martirio, soprattutto quando in continuità la nostra stessa vita diventa offerta continua per gli altri nella quotidianità.


Apoftegmi - Detti dei Padri

A ciascuno il proprio tempo

L'Abba Marco una volta disse all'Abba Arsenio: E' bene o non è bene avere nella tua cella qualcosa che ti dia piacere? Per esempio una volta venni a sapere che un confratello aveva un piccolo fiore selvatico nella sua cella e lo strappò alla radice. L'Abba Arsenio disse: Bene, è giusto. Ma ogni uomo dovrebbe agire secondo il proprio percorso spirituale. E se uno non riuscisse a stare senza quel fiore, dovrebbe ripiantarlo.


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

NORME PER L'ACCETTAZIONE DEI FRATELLI

Quando un nuovo venuto chiede di abbracciare la vita monastica, non gli si conceda tanto facilmente di entrare; ma, come dice l'apostolo: «Provate gli spiriti per vedere se provengono veramente da Dio» (1 Gv 4,1). Se il nuovo venuto dunque insiste nel bussare e si vede che sopporta con pazienza le umiliazioni che riceve e la difficoltà dell'ingresso per quattro o cinque giorni e ciò nonostante persiste nella sua domanda, gli si conceda di entrare e lo si ospiti in foresteria per qualche giorno. Poi egli dimori nei locali del noviziato dove si eserciti, mangi e dorma. E sia incaricato per lui un anziano capace di guadagnare le anime, il quale lo esamini con molta attenzione e metta ogni cura nell'osservare se il novizio cerca veramente Dio, se è pronto all'Opus Dei, all'obbedienza, alle umiliazioni; gli si prospettino tutte le difficoltà e le asprezze attraverso le quali si va a Dio.

Cap.58,1-8.