Paolo, come ogni discepolo di Cristo, è perseguitato a causa del Vangelo; i Giudaizzanti forse lo accusavano di non obbligare i pagani alla circoncisione per guadagnarli a sé, lo giudicavano dunque un opportunista. Ma Paolo si difende raccontando la sua conversione: afferma innanzitutto che Dio stesso, non un uomo, lo ha chiamato e inviato ad annunciare il Vangelo. Egli, fiero persecutore della Chiesa, accanito sostenitore della tradizione dei Padri, cioè di tutte quelle leggi dure e impossibili da praticare, viene folgorato dalla grazia di Dio, quasi, potremmo dire, a sua insaputa. Dio lo fa precipitare dall'alto delle sue indiscutibili convinzioni, per farne un suo docile strumento in mezzo ai pagani; gli si rivela per mezzo del suo stesso figlio, sulla via di Damasco e gli rivolge parole forti e tenere capaci di toccare i cuori più induriti: "Saulo, Saulo perché mi perseguiti?" "Chi sei, o Signore?" E la voce: "Io sono Gesù che tu perseguiti!".
La conversione di san Paolo contiene per noi un forte messaggio: ci illumina innanzitutto su una realtà molto profonda che cioè ogni vocazione è voluta da Dio fin dall'eternità e a cui dobbiamo rispondere perché si realizzi.
Tornando alla conversione di san Paolo, egli dopo aver sperimentato l'abbondanza della grazia e della misericordia di Dio, umilmente si lascia guidare da altri per maturare questa sua vocazione in un più profondo rapporto con Dio, fino a giungere a donare la sua vita per amore. Tutti coloro che con cuore sincero ascoltavano la sua storia non potevano fare altro che glorificare Dio. Poteva Paolo, con questa esperienza alle spalle annunciare il Vangelo, dare la vita per ambizione o per interesse? Certo no, eppure ci fu chi lo accusò. Da questo brano possiamo anche dedurre che chi si mette alla sequela di Cristo avrà persecuzioni e insieme i beni della vita eterna. Un altro insegnamento che possiamo trarre da questo brano, ma anche soprattutto dal Vangelo di oggi è che ogni vera vocazione nasce dall'ascolto della Parola di Dio, dalla preghiera, da un incontro intimo, silenzioso con Gesù, banchetto che Lui stesso prepara per noi. "Seduta ai piedi di Gesù ascoltava la sua Parola". In atteggiamento di discepola, anzi di sposa, Maria entra nel riposo, nel sabato di Dio e gira le spalle a tutto ciò che le può impedire tale intimità. Ella obbedisce, come la Madonna all'annuncio dell'Angelo, alla voce del Padre: "Questi è il Figlio mio l'eletto, ascoltatelo".
Marta intanto fa molte cose e con agitazione, come Paolo prima della conversione, cioè sotto il peso della legge, Maria invece riceve dal Signore la gioia del riposo nell'ascolto. Ella non esclude Marta, ma Marta deve diventare Maria per poter servire senz'affanno, senza invidia, non per ambizione, ma nella pace, nella gioia e per amore.
Il Signore ci doni di sentirci amati ogni giorno per primi da Lui, per poter ridonare anche una briciola del suo amore. E non lasciamoci inoltre scoraggiare da eventuali critiche del tipo: "Pregare è tempo perso, ci sono cose più importanti da fare", mentalità questa tipica della nostra società dominata dall'efficientismo e dalla superficialità.
Accogliamo, a tale proposito l'esortazione del Santo Padre: "Ogni vocazione alla vita consacrata è nata nella contemplazione, da momenti di intensa comunione e da un profondo rapporto di amicizia con Cristo, dalla bellezza e dalla luce che si è vista splendere sul suo volto" (Ripartire da Cristo di G.P.II).
Queste parole sono valide per tutte le vocazioni, perché come dice Gesù: "Senza di me non potete far nulla".
In Dio noi possiamo conoscerci, contemplare in noi l'opera delle sue mani e glorificare il suo nome con il salmista: "Ti lodo perché mi ha fatto come un prodigio, sono stupende le tue opere". Contemplando alla tua luce le tue meraviglie, Signore, non possiamo che lodarti!
Non appena ti levi dopo il sonno, subito, in primo luogo, la tua bocca renda gloria a Dio e intoni cantici e salmi poiché la prima preoccupazione alla quale lo spirito si apprende fin dall'aurora, esso continua a macinarla come una mola per tutto il giorno, sia grano, sia zizzania. Perciò sii sempre il primo a gettar grano, prima che il tuo nemico getti zizzania.
I SETTIMANARI DI CUCINA I fratelli si servano a vicenda e nessuno venga dispensato dal servizio di cucina, a meno che non sia malato o occupato in cose di maggiore utilità, perché in tal caso si acquista una più grande ricompensa e un aumento di carità. Ai più deboli si diano degli aiutanti, affinché non svolgano il servizio di malumore; anzi abbiano tutti degli aiuti, secondo i bisogni della comunità e la posizione del luogo. Se la comunità è numerosa, il cellerario sia dispensato dal lavoro di cucina e così pure chi - come abbiamo detto - fosse occupato in cose di maggiore utilità; tutti gli altri si servano vicendevolmente nella carità.