Il cammino verso l'annunciata glorificazione è precisato ricorrendo all'immagine del grano di frumento, in una vigorosa antitesi: «se non muore»/«se muore» e «rimane solo»/«porta molti frutti». La caduta nella terra è la condizione della fecondità del grano di frumento.
L'immagine del grano di frumento è familiare al Nuovo Testamento. Con essa Paolo esprime la trasformazione dei corpi nella resurrezione finale (1Cor 15, 35-38). Gesù se ne serve nelle parabole del regno dei cieli (Mt 13, 3ss; Mc 4, 26-29). Ma mentre nella parabola del seminatore il seme è la parola di Cristo, in Gv, nel contesto dell'Ora, il grano è identificato a Cristo stesso. In questa piccola parabola Gesù traduce il deî «è necessario» della Passione, motivandolo con il frutto da produrre; il grano che muore non resta solo, cioè solitario, ma produce altri grani, in abbondanza; la glorificazione è descritta attraverso questa moltiplicazione. Ecco ciò che la parola corrispondente nel chiasmo, v. 32, permette di precisare: «e io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti gli uomini a me» In 4, 35 la «messe» erano i samaritani che venivano verso Gesù.
Allargando il suo campo visivo, il lettore non può non percepire in questa parola sul grano di frumento un'allusione al pane della vita che è Gesù stesso (6, 35. 48), al pane che è la sua carne «data per la vita del mondo» (6, 51). Partendo da una legge della creazione Gesù esprime il mistero mediante il quale si realizza la nuova creazione, e questo mistero vale anche per il credente il quale, unito a Gesù, «porterà molto frutto»; è quanto svilupperà l'allegoria della vite e del vignaiolo (15, 1-8) dicendo che il tralcio deve essere potato e soprattutto rimanere innestato al ceppo della vite.
(da X. LÉON-DUFOUR, Lettura dell'evangelo secondo Giovanni, II San Paolo 2002, 577-578)
«Abba Poemen ha riportato queste parole di abba Ammone: "Un uomo passa tutto il suo tempo a portare la scure e non riesce ad abbattere l'albero; c'è un altro invece che è esperto nel tagliare e con pochi colpi lo fa cadere". E diceva che la scure è il discernimento».
L'UMILTÀ Quindi, fratelli, se vogliamo toccare la vetta della più grande umiltà, se vogliamo giungere velocemente alla esaltazione celeste a cui si sale attraverso l'umiltà della vita presente, dobbiamo innalzare, ascendendo con le nostre azioni, quella scala che apparve in sogno a Giacobbe e per la quale egli vide angeli che scendevano e salivano (cf. Gen 28,12). Per noi quel discendere e quel salire stanno senz'altro a significare che con la superbia si discende e con l'umiltà si sale.