[
] Il greco patrís significa "paese dei padri" o anche "città natale", ma essi assumono per certo che Gesù, pur essendo allevato a Nazaret, non vi è nato: perciò probabilmente non nominano la città. "Patria" va dunque inteso come la città dove abitano ancora attualmente i suoi familiari. Gesù entra nella sinagoga. Matteo, come sempre, si demarca: "la loro sinagoga". [
] Non sappiamo bene, del resto, che cosa fosse una "sinagoga" nel I secolo. La documentazione archeologica in Palestina è abbondante solo a partire dal III secolo.[
] Questo lascia supporre che nel I secolo, una "sinagoga" (termine greco che significa "adunanza") non fosse necessariamente associata ad un edificio particolare. [
] Nazaret, poi, era una cittadina molto modesta: non siamo quindi obbligati a pensare che Gesù sia entrato in un particolare edificio come quelli che, più tardi, saranno definiti sinagogali. Probabilmente era solo una sala spaziosa adibita a questo uso.
Nei suoi confronti scatta quella particolare censura mentale che si può chiamare "pregiudizio di familiarità". Siccome i suoi concittadini presumono di conoscerlo bene, sanno di chi è figlio ("il figlio del carpentiere": Matteo; o addirittura lui stesso niente più che un "carpentiere": Marco), conoscono sua madre, i fratelli e le sorelle, non sono per nulla disposti a considerarlo diversamente da come se lo sono sempre immaginato. Sono incapaci di dargli un'altra configurazione rispetto a quella per loro già nota. Non che essi contestino la sua "sapienza", e i "miracoli", ma non sanno spiegarsi "donde" gli vengano. Questo "donde" (2x: vv. 54 e 56) è molto importante, specialmente se riferito alla sapienza ("la sapienza donde si trae?" Gb 28, 12ss). Evidentemente non riescono ad ammettere che ciò gli venga da Dio, perciò "trovano un ostacolo" in lui (secondo l'etimologia del verbo "scandalizzarsi"). Marco concludeva dicendo che Gesù "non poté fare là alcun miracolo" (Mc 6, 5): Matteo attenua quest'impressione di impotenza da parte di Gesù e dice solo che non ne fece molti. In ogni caso, l'impedimento è lo stesso, cioè la loro apistía, che solitamente si traduce "mancanza di fede", ma io preferisco rendere con "diffidenza". Secondo tutto il contesto, non si tratta tanto di pervenire a una confessione di fede, ma piuttosto di superare un blocco psicologico, un ostacolo alla fiducia che è costituito proprio dalla familiarità.
(da A. MELLO, Evangelo secondo Matteo, Qiqajon 1995, 262-264)
La stabilità Troverai la stabilità nel momento in cui scoprirai che Dio è in ogni luogo, che non hai bisogno di cercarlo altrove, che Egli è qui e, se tu non lo trovi qui, è inutile andare a scoprirlo da qualche altra parte, perché non è Lui che assente da noi, ma siamo noi che siamo assenti da Lui... Questo è importante, perché è solo nel momento in cui riconosci ciò, che puoi veramente trovare la pienezza del Regno di Dio in tutta la sua ricchezza dentro di te; che Dio è presente in ogni situazione e ovunque e che tu potrai dire: "Allora starò dove sono".
QUALI SONO GLI STRUMENTI DELLE BUONE OPERE Temere il giorno del giudizio. Aver terrore dell'inferno. Desiderare la vita eterna con tutto l'ardore dello spirito. Avere ogni giorno la morte presente davanti agli occhi. Vigilare ogni momento sulle azioni della propria vita. Essere convinti che in ogni luogo Dio ci guarda. Spezzare subito contro Cristo i cattivi pensieri che sorgono nel cuore e manifestarli al padre spirituale.