[
] La parabola del granello di senape che Matteo riprende da Mc 4, 30ss., viene comunemente definita una parabola della "crescita". Che il granello di senape sia il più piccolo di tutti i semi, e che il suo arbusto, una volta cresciuto, sia "più grande degli ortaggi", sono probabilmente entrambe delle esagerazioni. Ma la punta della parabola sarebbe lo scarto che si verifica, nella grandezza, tra la realtà iniziale, seminale e quella finale dell'albero pieno e maturo. Vi è tuttavia da chiedersi se questa è l'intenzione matteana nel riferire la parabola di Marco. Secondo Gherhardsson no: "Il mistero non risiede nel contrasto tra l'inizio e la fine, ma nel fatto che un processo prodigioso, dalle immense conseguenze, viene messo in atto quando un piccolo seme è deposto, nascosto, sepolto sotto terra". L'accento non è sulla piccolezza del seme, che è un'esagerazione retorica, ma sull'effetto miracoloso che esso produce, una volta seminato. [
] Secondo l'idea che se ne facevano gli antichi, un seme deposto sotto terra muore. È quello che espliciterà il quarto evangelo: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, resta solo; ma se muore produce molto frutto" (Gv 12, 24). Matteo pensa esattamente nello stesso modo, prova ne sia che Giovanni fa seguire a questo mashal (proverbio ma anche parabola) quella che è forse la più autentica e al più attestata di tutte le parole gessane (se così si può dire): "Chi vuol salvare la sua vita, la perderà; ma chi perde la sua vita per causa mia, la troverà" (questa è la formulazione di Matteo, che la riproduce due volte nel suo evangelo: 10, 39 e 16, 25).
"Perdere la vita" (psyché) vuol dire dare la propria "anima", vuol dire adempiere all'esigenza più radicale dello Shema: amare il Signore nostro Dio con tutta la nostra anima, "perfino se egli ti chiedesse il dono della vita". Ecco in che cosa consiste il più grande mistero del regno: il regno è una potenza divina prodigiosa, dagli esiti imprevedibilmente grandi, che è messo in atto da un piccolo gesto sovente nascosto, il più delle volte ignorato da tutti: il dono della propria vita.
(da A. MELLO, Evangelo secondo Matteo, Qiqajon 1995)
E' secondo l'insegnamento del nostro Salvatore Gesù Cristo che i monaci di Egitto regolano la loro condotta di vita... Li si può vedere disseminati nel deserto, aspettare Cristo come dei veri figli aspettano il padre, o come un esercito attende l'imperatore, o come dei servi attendono il loro padrone e liberatore. Tra di loro non vi è preoccupazione alcuna, non vi è preoccupazione per il vestito, per il cibo, ma solo, nel canto, l'attesa della venuta di Cristo.
QUALI SONO GLI STRUMENTI DELLE BUONE OPERE Anzitutto, amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze. Poi, il prossimo come se stesso. Quindi non uccidere. Non commettere adulterio.
Non rubare. Non avere desideri impuri. Non dire falsa testimonianza. Onorare tutti gli uomini. E non fare agli altri ciò che non si vuole fatto a sé stesso.