La croce, per Cristo, per noi che abbiamo scelto di seguirlo, non è un approdo finale, ma un passaggio inevitabile, ma fecondo. Oggi ci offre una squarcio di cielo perché possiamo comprendere senza ombra di dubbio, dove quella croce ci conduce. Gesù, dopo aver scelto tre testimoni qualificati, Pietro Giacomo e Giovanni, sale un monte, il Tabor, e lì avviene la trasfigurazione, la teofania, la rivelazione parziale della gloria di Dio, la vera meta che ci attende. L'occhio e o spirito umano finché restano legati al corpo, non sono in grado di vedere e godere in pienezza quella gloria e qual fulgore. È solo una anticipazione, ma più che sufficiente per i tre fortunati testimoni, per comprendere uno stato diverso e incomparabilmente migliore di ogni umana esperienza. Giunge poi ai loro orecchi la voce dello stesso Padre celeste che proclama ancora che quel Gesù, che dovrà subire il martirio della croce, è il suo Figlio prediletto. Aggiunge poi, per scansare definitivamente la tentazione non credere alle parole con le quali egli preannunciava il suo prossimo martirio, un imperativo: "Ascoltatelo!". Il Padre celeste si fa garante della Parole del suo Figlio. Vuole dirci che il martirio e la croce sono un suo progetto, un arcano disegno dettato dall'amore infinito che Egli vuole rivelare in Cristo. Comprendiamo così lo stupore e lo spavento di Pietro e dei suoi Apostoli. Comprendiamo anche la tentazione di voler saltare e scansare la salita dell'altro monte, del Calvario, e costruirsi tre tende in quella meravigliosa visione e in quello stato di pieno benessere. È anche nostra quella tentazione. Si nasconde nel cuore dei credenti. Induce a credere che un diritto è un acquisito la salvezza e un compenso gratuito la felicità eterna. Le tre tende di Pietro forse talvolta sono le nostre chiese, quando non predichiamo più Cristo crocifisso e vorremmo arbitrariamente condurre subito i nostri fedeli sul Tabor. È un inganno!
La preghiera entra nelle pieghe più nascoste della vita e la trasforma e la vita, nella sua dimensione storica, diventa il luogo dove la preghiera prenda la sua forma e la sua verità.
L'UMILTÀ L'ottavo gradino dell'umiltà si sale quando il monaco non fa nulla al di fuori di ciò che è indicato dalla regola comune del monastero o dall'esempio degli anziani.
Il nono gradino dell'umiltà si sale quando il monaco frena la sua lingua e, coltivando l'amore al silenzio, non parla finché non sia interrogato, perché la Scrittura insegna che nel molto parlare non si eviterà il peccato (Pr 10,19), e che l'uomo dalle molte chiacchiere camminerà senza direzione sulla terra (Sal 139,12 Volg.).