Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire, Bassano Romano (VT)  
15 - 21 Febbraio 2004
Tempo Ordinario VI, Colore verde
Lezionario: Ciclo C | Anno II, Salterio: sett. 2

Commento alle Letture

Venerdì 20 febbraio 2004

Salvare o perdere la vita.

Il Signore Gesù, dopo aver annunciato la sua prossima passione e morte e segnato così la via della redenzione e della salvezza, oggi detta ai suoi la stessa via e le condizioni per seguirlo. È l'invito a percorrere il suo calvario: egli dice infatti: "«Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà". Prendere la croce significa abbracciare la vita ed amarla in tutte la sua probabili ed inevitabili vicende, spesso dolorose. Egli fa così dei cristiani i crociati per il suo regno. Candidati al calvario, ma resi ceri della risurrezione. In questo contesto comprendiamo la perenne tentazione di scansare ogni ostacolo, di salvare la nostra vita da ogni dolore, da ogni prova e riempirla invece di ogni umano benessere. È proprio così che la vita si perde immergendola nell'inganno della fragilità del tempo e delle cose. Così la vita resta senza futuro e delusa e mortificata nel presente. Perdere la vita con Cristo significa invece vivere la stesso sacrificio, portare ogni giorno con Lui la stessa croce nella certezza dei beni futuri, della vera salvezza, quella che ci immergerà nella beatitudine eterna. Così noi celebriamo la lunga e solenne messa della nostra vita facendola diventare un gioioso ritorno alla casa del Padre. Sono innumerevoli gli esempi dei martiri e dei semplici fedeli che hanno consumato l'esistenza in un continuo atteggiamento di offerta. Essi formano la schiera dei salvati, dei veri eroi, dei nostri modelli. Come una piovra ci attanagliano le cose della terra, che ci promettono felicità e benessere, ma ci legano al tempo, mentre siamo destinati all'eternità. Appesantiscono il nostro spirito, incapace di spiritualizzare l'esistenza. Cerchiamo affannosamente di costruirci con le nostre mani paradisi terrestri dove Dio non c'è mentre noi dovremmo sapere che ogni luogo, ogni situazione, ogni esistenza, se privata delle verità eterne e dei bagliori divini, diventa prima o dopo un inferno. Lì i desideri ardono, ma restano inappagati e l'infelicità totale degenera in odio inestinguibile. La croce ha il suo peso, ma conduce alla gioia senza fine!


Apoftegmi - Detti dei Padri

«Non è ancora perfetta quella preghiera in cui il monaco ha coscienza di sé e del fatto stesso di pregare».

Cassiano

Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

L'UMILTÀ

Il settimo gradino dell'umiltà si sale quando il monaco, non solo a parole si dichiara l'ultimo e il più spregevole di tutti, ma si ritiene veramente tale anche nel più profondo del cuore, umiliandosi e dicendo col profeta: «Io sono verme e non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo» (Sal 21,7); «mi sono esaltato e allora sono stato umiliato e confuso» (Sal 87,16 Volg.); e ancora: «Bene per me se sono stato umiliato, perché impari ad obbedirti» (Sal 118,71).

Cap.7,51-54.