È l'evangelista Giovanni a raccontarci l'episodio della lancia e del fianco squarciato, lui che aveva posato il suo capo sul petto del Signore nell'ultima cena e ne aveva sentito l'intensità dei palpiti. Tommaso aveva preteso di poter mettere la sua mano al posto dei chiodi e nel costato di Cristo prima di esclamare: "Signore mio e Dio mio!". Ad una veggente, Santa Margherita Maria Alaquoque Gesù, mostrando il suo cuore aveva detto: "Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini!". La scienza esaminando accuratamente uno dei tanti miracoli eucaristici, quello di Lanciano, ha rivelato che la carne viva in cui si è tramutata l'ostia consacrata, è una sezione del miocardio. Potremmo così concludere che Gesù ci nutra del suo stesso cuore, l'organo del corpo che secondo la nostra cultura, contiene ed esprime la massima intensità dell'amore. Noi siamo comunque certi che Gesù ci ha amati nella sua divinità e nella sua umanità. La suprema testimonianza dell'amore ce l'ha offerta con la sua volontaria immolazione sulla croce. Egli stesso aveva proclamato: "Non esiste un amore più grande di questo, dare la vita". In virtù della santa Eucaristia quell'amore dono è diventato un memoriale che continuamente si rinnova in tutta la sua verità e in tutta la sua efficacia. Celebrando quindi il Cuore di Cristo noi celebriamo l'amore infinito di Dio Padre, dello stesso Figlio suo Gesù Cristo e dello Spirito Santo, che è la stessa fonte dell'amore. Lo celebriamo nella sua divina essenza, nella sua umanità incarnata, ma lo celebriamo anche in noi perché quello stesso amore è stato riversato abbondantemente e gratuitamente nei nostri cuori per cui siamo figli di Dio, eredi dei beni eterni e templi sacri dello Spirito, per quello stesso amore noi gridiamo "Abbà", Padre e ci riconosciamo fratelli. L'esperienza di credenti, partecipi dei divini misteri, ci illumina e ci fortifica, ci dona la certezza di essere amati e ci rende capaci di amare con lo stesso amore che Cristo ci dona. Tutto sgorga dalla croce, dove, secondo il calcolo miope degli uomini, tutto sembrava dovesse finire nel chiuso di una tomba. Proprio da quella morte e da quel colpo di lancia, da quella ferita pietosa, uscirà sangue ed acqua, simboli dei sacramenti della chiesa, ma anche e soprattutto testimonianza perenne di un amore manifestato e vissuto fino alla fine, per sempre, per tutti.
Disse: "fare elemosine è comunque cosa buona: anche se si fanno per piacere agli uomini, si volgono poi in cosa gradita a Dio".
I FRATELLI SI OBBEDISCANO A VICENDA Il bene dell'obbedienza deve essere praticato da tutti non solo verso l'abate, ma i fratelli devono anche obbedirsi vicendevolmente, persuasi che per questa via dell'obbedienza essi andranno a Dio. Riservata dunque la precedenza agli ordini dell'abate o dei superiori da lui costituiti - ai quali non vogliamo che si antepongano comandi privati - per il resto tutti i più giovani obbediscano ai più anziani con carità e premura. Chi si mostra riluttante a ciò, sia punito.