Verso l'anno 480 Benedetto nasce nei pressi di Norcia, in Umbria. Compie gli studi fondamentali presso le scuole della cittadina. Nel 496-500 è a Roma a perfezionare la sua formazione umanistica in vista di un futuro lavoro. Disgustato dal disordine morale che opprimeva il clima della città, si ritira ad Affile, tra Fiuggi e Tivoli. La fama che si sparge dopo un primo miracolo, lo spinge a nascondersi per dedicarsi soltanto a Dio in una vita di preghiera e di penitenza. Raggiunge Subiaco. Prima del 505 è chiamato per breve tempo a dirigere una comunità monastica a Vicovaro (Tivoli). I religiosi però si ribellano e tentano di avvelenarlo. Benedetto ritorna alla grotta di Subiaco. Fonda nella valle dell'Aniene una dozzina di monasteri. La sua famiglia monastica cresce notevolmente e diviene un centro di irradiamento spirituale. Superate varie difficoltà interiori (tentazioni) ed esterne (minacce di un prete invidioso) Benedetto, con alcuni monaci, si reca a Cassino. Siamo nell'anno 529. Dopo un'intensa opera di evangelizzazione, si costruisce un nuovo centro monastico: Montecassino. Il santo si distingue sempre per una vita di preghiera intensa e per una dedizione totale ai suoi monaci. Per essi redige una "Regola". Guida anime accogliendo come ospiti persone di ogni ceto sociale, anche vescovi e laici. Re Totila incontra il santo a Montecassino dove si reca a fargli visita nel 546. Dopo aver dato inizio ad una nuova fondazione monastica, a Terracina, il 21 marzo del 547, o di qualche anno immediatamente successivo, san Benedetto muore subito dopo aver ricevuto la comunione. Nel 577, come aveva predetto il santo, per la prima volta viene distrutta Montecassino. Per la quarta volta il monastero sarà raso al suolo il 15 febbraio 1944. Gregorio Magno (+ 604), autore dei "Dialoghi", in cui un intero libro è dedicato al "vir Dei", uomo di Dio, Benedetto, ha contribuito in prima persona ad avvolgere la personalità dell'abate di Monte Cassino in un'atmosfera di sacralità.
La celebrazione dell'11 luglio si riferisce alla "depositio" o "translatio", attestata dal secolo VIII in Francia e in Germania; è celebrata ovunque fin dall'età carolingia.
Memoria di san Benedetto, abate, che, nato a Norcia in Umbria ed educato a Roma, iniziò a condurre vita eremitica nella regione di Subiaco, raccogliendo intorno a sé molti discepoli; spostatosi poi a Cassino, fondò qui il celebre monastero e scrisse la regola, che tanto si diffuse in ogni luogo da meritargli il titolo di patriarca dei monaci in Occidente. Si ritiene sia morto il 21 marzo.
Nulla anteporre all'amore di Cristo
San Benedetto gode di un'enorme libertà nei confronti di tutto e di tutti, fatta eccezione per Dio, beninteso. È una libertà che corrisponde innanzitutto ad una esigenza intrinseca del monachesimo in quanto fenomeno spontaneo. Lo è fin dalle origini; al tempo di Benedetto lo è a Roma come da ogni altra parte. Ovunque questo fenomeno appare come il risultato non di leggi o di obblighi, bensì di influenze venute dall'oriente, dall'Africa, dalla Gallia e accolte da ciascun fondatore o abate di monastero secondo la sua natura e la sua grazia. Benedetto opera delle scelte: ecco il fatto rilevante. La sua Regola implica un gran numero di opzioni fra le varie possibilità offerte dalla tradizione. Tali scelte tuttavia sono, a seconda delle persone, più o meno libere, oppure più o meno determinate dalle circostanze del loro tempo, dalla cultura e dall'ambiente. Che ne è nel caso di Benedetto? La risposta la dà il margine di libertà che egli lascia a quanti verranno dopo di lui e persino a quanti, ai suoi tempi, non solo in altri luoghi, ma nella sua stessa casa adotteranno il programma da lui tracciato: riconosce loro il diritto di fare delle scelte diverse dalle sue, a condizione di situarsi all'interno di ciò che egli considera come un assoluto: l'amore di Cristo "nulla anteporre all'amore di Cristo. Nulla sia più caro di Cristo" (Regola 4, 21; 5, 2) e la volontà di servirlo seguendo la vita monastica.
"Scegliere", "unire": ecco le due parole che meglio riassumono la libertà di cui dà testimonianza al sua opera. Solamente un essere libero ha questa capacità di ridurre certe antinomie apparenti o reali, superando le contraddizioni che disorientano coloro che sono legati da altre catene che non siano quelle dell'amore di Cristo. Tra i vari testi, istituzioni, modelli, santi - un Antonio, un Basilio, un Agostino - tra i diversi monachesimi - orientale, africano, italiano tra le differenti tradizioni liturgiche, egli deve operare una scelta e la opera. Fa tesoro di tutto ciò che può rientrare nel suo disegno e realizza la simbiosi di tutte le esigenze primarie, tralasciando di adottare delle osservanze di dettaglio che finirebbero per escludersi a vicenda. Ispirandomi ad uan mirabile espressione del suo biografo Gregorio Magno, sarei tentato di dire che Benedetto era libero non tanto per nascita, ma in virtù del suo carattere, della grazia e della conquista che aveva fatto di se stesso. Benedetto ha il dono di essere totalmente dipendente e nel contempo interamente libero. Obbedisce a Dio e alla Chiesa con una sovrana padronanza di se stesso e di tutto il resto. Sì, bisogna ammetterlo: la stabilità che prescrive resta avvolta da una certa oscurità, ma l'obbedienza che insegna è estremamente chiara, illimitata, ma non cieca; comporta delle scelte, dei giudizi personali. Consiste, e l'ha fatto egli stesso nel sottomettersi a tutto ciò che si impone nell'ambito infinito delle esigenze dell'amore di Dio, offrendo però questo sacrificio di se stessi con la gioia dello Spirito santo.
Restare fedele alla tradizione ricevuta senza essere legati al passato: questo l'esempio lasciato da Benedetto e che i suoi figli avrebbero imitato. (da "La liberté bénédictine" di J. Leclercq.)